Editoriale

Innovazione e legge, un conflitto perenne. È inevitabile?

I regolamenti non riescono a tenere il passo rapidissimo del cambiamento, e così le aziende di maggior successo nella nuova economia digitale spesso li ignorano consapevolmente. Lo scontro è costante anche in Italia, come confermano i recenti casi di Uber and Airbnb. Eppure in California…

Pubblicato il 23 Ago 2017

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Umberto Bertelè, professore emerito al Politecnico di Milano, è autore di “Strategia”, edizioni Egea, disponibile in questi giorni nella seconda edizione, focalizzata sulla trasformazione digitale. A questo link è disponibile un e-book in pdf, realizzato in occasione dell’uscita del nuovo libro, che raccoglie le riflessioni pubblicate nell’arco di quasi 7 anni su Digital4Executive. 

Esiste un conflitto naturale fra l’innovazione, che significa cambiamento, e le regole, che mirano a disciplinare l’esistente (come se fosse destinato a durare per l’eternità) e non raramente a garantire gli interessi costituiti.

È per questo che una componente importante del successo di molte delle principali imprese digitali è la propensione a ignorare le regole, nonché la bravura – con l’aiuto dei migliori avvocati e dei più efficaci lobbisti – nell’evitare eccessive punizioni a fronte delle violazioni.

Uber (protagonista di un braccio di ferro con i tassisti finito sui tavoli dei Tribunale di Roma – ndr) e Airbnb (a cui il fisco italiano ha chiesto di fare da sostituto d’imposta, non senza polemiche -ndr) sono sicuramente il prototipo di imprese che senza violazioni non avrebbero avuto successo, ma sono ora costrette a combattere duramente per la stessa sopravvivenza, a causa delle forti reazioni di chi si è sentito danneggiato dalla loro crescita e si appella al rispetto delle regole.
Ma anche Apple, Alphabet-Google, Amazon e Facebook sono oggetto di forti contestazioni – ad esempio a livello UE – e Microsoft, essa pure facente parte delle top-5 (le imprese a massima capitalizzazione su scala mondiale) lo è stata a lungo nel passato.

È giustificata la violazione – o talora più semplicemente l’elusione – delle regole?

In diversi casi, in relazione ad esempio alla diffusa e consistente elusione fiscale da parte delle imprese maggiori, la risposta è no: anche se sono gli Stati che, in concorrenza fra loro, aprono buchi legislativi che vengono subito sfruttati. In altri casi la risposta è più dubbia, soprattutto quando le regole violate sembrano corrispondere più che a interessi della collettività al mantenimento in vita di attività decotte o alla protezione di interessi molto puntuali.

Il problema, come appare chiaramente dal recente caso Uber, che rischia l’espulsione dall’Italia, è che simili decisioni non dovrebbero essere affidate alla magistratura, che non può che applicare regole nate nel passato in un contesto che non c’è più, ma richiederebbero una riscrittura delle regole da parte della politica, che non penalizzi il nuovo garantendo però equità negli obblighi e nella tassazione. La regolamentazione, se gestita con lungimiranza, può essere però anche un fattore di promozione dell’innovazione.

Due esempi: la California che ha semplificato le autorizzazioni per le prove su strada delle self-driving car; l’UE che con l’introduzione del cosiddetto open banking (della possibilità cioè di accesso diretto previo autorizzazione ai conti bancari) ha aperto una importante possibilità di crescita per le cosiddette fintech, per le startup tecnologiche cioè operanti nell’ambito bancario-finanziario).

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