Il sito (o l’app) di eCommerce di un brand e il suo negozio fisico sono ormai due facce di una stessa medaglia, quella dello shopping. I clienti sono imprevedibili: a volte acquistano online, altre si recano in un centro commerciale, altre ancora nel negozio sotto casa. La decisione dipende da i più svariati fattori: il tipo di prodotto, il meteo, l’urgenza dell’acquisto, l’attenzione al risparmio e così via. È quello che il marketing chiama multicanalità, o omnicanalità, ed è il presente e il futuro del retail. Non è più possibile considerare il mondo fisico e quello del Web separati e alternativi – come invece è ancora nella mente di molti – e tanto meno in competizione fra loro, come se l’eCommerce e il suo successo fossero i responsabili della crisi dei consumi che da diversi anni attraversa l’Italia. Al contrario, per il Made in Italy in particolare è un’opportunità da non perdere per espandersi all’estero.
Le librerie di Amazon in USA diventano quattro
Le recenti mosse strategiche di due giganti mondiali confermano che la strada “ibrida” è l’unica che consente di intercettare il maggior flusso di clienti e di rispondere alle nuove abitudini di acquisto. Amazon, il più grande retailer online al mondo, ha appena annunciato l’apertura di tre nuove librerie negli stati Uniti, dopo aver inaugurato il primo negozio a Seattle lo scorso autunno. In barba alla crisi che sta mietendo vittime fra i librai di tutto il mondo. Ma il modello è innovativo: non ci sono etichette sui libri, perché i prezzi sono allineati a quelli online, e i clienti li scoprono al momento attraverso appositi chioschi. E accanto ai libri sono in vendita numerosi altri prodotti: i Kindle innanzi tutto, ma anche la Fire TV e Echo, nuovi sistemi a controllo vocale basati sull’assistente di Amazon, Alexa.
Walmart acquisisce Jet.com
Nello stesso periodo, la più grande insegna al mondo, Walmart (11mila negozi in 28 Paesi), ha sborsato ad agosto 3,3 miliardi di dollari per acquisire Jet.com una startup nata proprio con l’ambizione di competere con i big del mondo online con prezzi più competitivi. Una mossa che si affianca ai cospicui investimenti già effettuati per potenziare la presenza nell’eCommerce, e per innovare la customer experience: Walmart ha lanciato un proprio sistema di Mobile Payment, sul modello di Starbucks, e ha stretto accordi con Uber e Lyft, le due note società di trasporto privato, per il servizio di consegna a domicilio.
La distanza fra i due big dello shopping sul fronte del commercio elettronico spiega l’accelerazione nella strategia: lo scorso anno i ricavi online di Walmart erano di 14 miliardi di dollari (su un totale di 482 miliardi nel 2016), a fronte dei circa 100 di Amazon.
La miniera dei Big Data
C’è un’altra importante lezione che il colosso americano, sempre più attivo anche in Italia, sta dando al mercato retail, ovvero che le informazioni sui clienti sono una miniera d’oro. Il suo programma Amazon Prime, nato 11 anni fa e definito dalla stessa azienda “il miglior servizio nella storia dello shopping”, raccoglie un numero crescente di utenti: sarebbero 60 milioni, secondo stime riportate dal sito food4brains, con una crescita del 51% in un anno. In cambio di una piccola fee annuale, i soci del club hanno accesso a una rosa di servizi sempre più ampia, che include la spedizione veloce (2 ore per ricevere la spesa, anche a Milano) e promozioni dedicate (nella giornata del Prime Day solo in Italia sono stati venduti 750mila prodotti), ma anche spazio per l’archiviazione, musica e video.
Il retail italiano poco innovatore
E in Italia che succede? La trasformazione del settore è profonda, in linea con l’evoluzione in atto negli altri Paesi, sia sul lato dell’offerta, ma soprattutto sul piano dei comportamenti degli acquirenti, con lo smartphone che ha un ruolo sempre più centrale nei processi di acquisto. Tutto ciò in un contesto che vede la domanda da anni in calo o comunque stagnante. Secondo l’Osservatorio Innovazione digitale nel Retail del Politecnico di Milano, in questo scenario innovare è necessario. Invece, complice anche la crisi dei consumi gli investimenti in innovazione digitale dei top retailer sono molto limitati: meno del 15% del totale degli investimenti annuali, nell’intorno di pochi decimi di punto percentuale del valore del venduto, cifra fino a dieci-venti volte inferiore a quella registrata in altri settori come l’assicurativo e il bancario.