Per anni i film di fantascienza ci hanno mostrato computer che ragionavano come le menti umane e interagivano con gli uomini. Ora tutto questo è già realtà, grazie ai recenti progressi nel “cognitive computing”, la tecnologia del futuro che consentirà di “dialogare” con i sistemi informatici intelligenti e sfruttare la loro capacità di analisi avanzata.
I computer di questa generazione, infatti, saranno addestrati a immagazzinare e “comprendere” una grande quantità di dati in forma destrutturata (Big Data), decodificando testo, audio e video.
Le macchine intelligenti diventeranno in grado di estrarre valore da queste informazioni, grazie a strumenti di analytics, e riusciranno a dare risposte in tempi rapidissimi e aiutare gli uomini a prendere decisioni complesse.
Uno dei principali campi di applicazione, infatti, è quello della diagnostica medica: sistemi basati su cognitive computing potrebbero analizzare i dati del paziente e interpretarli in base agli ultimi risultati della ricerca scientifica.
IBM, scommettendo sul cognitive computing con Watson, dal nome del fondatore Thomas J. Watson, vuole cambiare il modo in cui in futuro si interagirà con i sistemi informatici. Nella ricerca “Your cognitive future – How next-gen computing changes the way we live and work”, il dipartimento Strategy and Analytics di IBM sottolinea i punti di forza della tecnologia del futuro, portando alcuni esempi di campi di applicazione.
Gli ambiti del cognitive computing
In primo luogo si cerca di far chiarezza su cosa sia il cognitive computing e quali siano le potenzialità.
“Cognitivo” è l’aggettivo riferito a facoltà mentali come pensare, comprendere, imparare e ricordare. Il cognitive computing ha l’obiettivo di accelerare, estendere e portare su ampia scala l’esperienza umana; imparare dalle migliori prestazioni per accelerare i progressi; potenziare i processi cognitivi dei professionisti per aiutarli a prendere decisioni giuste; portare su larga scala le esperienze umane in modo da rendere più veloci ed efficaci i momenti decisionali nelle aziende.
Secondo lo studio IBM ci sarebbero tre funzioni primarie che determinano il modo in cui gli uomini pensano e lavorano e che, di conseguenza, sono coinvolte nel cognitive computing: scoperta, decisione e impegno. A seconda degli interessi e dei campi di applicazione si può scegliere di agire su una di esse o su tutt’e tre.
Ad esempio la funzione di impegno può risultare utile nel caso serva implementare una forma di collaborazione uomo-macchina, in modo da aver un “consulente” super esperto che è in grado di elaborare un’enorme quantità di dati e aiutare a prendere decisioni. Simili al cervello umano, queste macchine intelligenti sono capaci di costruire schemi del mondo circostante, incrociando informazioni da contesti diversi e creando delle relazioni di senso tra di loro.
Come esempio di questa funzione, IBM cita il caso di USAA, una società che offre servizi finanziari, bancari e assicurativi a circa 10,4 milioni di membri delle Forze armate statunitensi, in servizio o in pensione. In particolare, aiuta gli ex militari e i loro familiari nel passaggio alla vita civile quando hanno terminato la loro attività. Usando IBM Watson, USAA è riuscito ad inglobare circa duemila domande poste dagli utenti tramite il sito internet o mobile. Sono serviti sei mesi di addestramento della macchina per renderla in grado di comprendere il linguaggio umano nelle diverse espressioni linguistiche e per inglobare oltre tremila documenti che si occupano di questioni finanziarie-assicurative degli ex militari. Alla fine del processo, USAA è riuscito a fornire risposte tempestive agli utenti grazie all’uso del cognitive computing.
Ricordiamo, a questo proposito, che in Italia Eni sta utilizzando Watson per la ricerca di giacimenti, la manutenzione e altro.
Intuizioni che nascono dalla capacità di mettere in relazione grandi quantità di dati
I computer basati sul cognitive computing sono in grado di prendere decisioni autonome. Sarà necessario del tempo affinché ci si possa fidare delle loro soluzioni, ma possono comunque essere considerati come validi aiutanti nel processo decisionale. Per valutare la qualità delle decisioni, le macchine forniscono la tracciabilità dei processi che hanno portato ad essa e un punteggio sulla risposta del sistema.
La funzione di scoperta è il cuore di questi sistemi intelligenti, in quanto rende possibile giungere a intuizioni che nemmeno la mente umana riuscirebbe ad elaborare. La capacità di mettere in relazione grandi quantità di dati e di cercare connessioni tra di loro, fa sì che il cognitive computing possa scoprire alcune evidenze che magari agli uomini sfuggirebbero. Questo può essere molto utile nella ricerca scientifica, come dimostra lo studio IBM.
Uno dei principali centri di ricerca universitari, Baylor College of Medicine, ha utilizzato Watson per accelerare i tempi di analisi di documenti e giungere con più velocità a intuizioni rivoluzionarie. Sfruttando il sistema di calcolo e memorizzazione di Watson, in poche settimane, i ricercatori sono riusciti a scoprire le proteine che influiscono sulla funzionalità della p53, una proteina connessa a molti tumori. Una scoperta importante che può aiutare a migliorare le terapie. Watson ha elaborato 70 mila articoli scientifici sull’argomento, un lavoro che, se fosse stato fatto dai ricercatori, avrebbe richiesto molti anni.
Quale futuro: superare le resistenze
Il futuro del cognitive computing e la sua diffusione in settori pubblici e privati, dice IBM Strategy and Analytics, è influenzato principalmente da sei forze sociali: società, percezione, regolamentazione, tecnologia, informazione, competenze. In ognuna di queste aree ci sono spinte all’evoluzione e forze contrarie che decelerano l’avanzata della sperimentazione. Ad esempio, se nella società c’è una crescente domanda di macchine intelligenti, gestibili anche attraverso i device mobili, dall’altra c’è scetticismo per quanto riguarda la sfera della privacy e la paura che si sostituisca il lavoro umano. Anche la percezione delle potenzialità di Watson e di sistemi simili hanno una doppia faccia: da una parte molte aziende cominciano a capire il loro valore economico, dall’altra c’è cautela nell’effettuare investimenti nell’intelligenza artificiale, spesso a causa di disinformazione.
L’evoluzione delle tre funzioni di base del cognitive computing (scoperta, decisione, impegno), conclude lo studio IBM, dipenderà da cinque importanti caratteristiche. La prima è quanto le macchine intelligenti riusciranno ad essere personalizzabili e interattive, la seconda è l’autonomia di apprendimento, la terza è la capacità di percezione e interpretazione, la quarta è l’ubiquità e, infine, la scalabilità dei processi per incontrare le esigenze della domanda.