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AI nel Business: applicazioni, vantaggi e sfide. Una guida per le imprese



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L’Intelligenza Artificiale in azienda crea nuovi paradigmi, migliorando efficienza e precisione in ogni ambito, arricchendo le capacità di visione e di azione delle persone. Diego Lavezzi di WeAreProject: “Serve una governance dei dati solida e lavorare sulla curva di apprendimento delle persone”

Pubblicato il 9 gen 2025



AI nel Business

Dagli algoritmi di machine learning all’analisi predittiva, dagli RPA alla GenAI, l’Intelligenza Artificiale offre ai lavoratori e alle organizzazioni strumenti potenti che migliorano l’efficienza e la precisione dei processi, arricchendo le capacità di visione e di azione di ognuno. Introducendo nuove opportunità di crescita e sviluppo che alterano i modelli tradizionali e le strutture di mercato esistenti, l’AI pone le aziende di fronte alla necessità di adattarsi rapidamente. Questo è il motivo per cui molte imprese si stanno avvicinando alla tecnologia con un misto di entusiasmo e cautela. A spiegare come e perché è Diego Lavezzi, IA Solutions Manager di WeAreProject, società di consulenza specializzata nell’innovazione e nell’integrazione di soluzioni tecnologiche avanzate.

“La sfida più importante sta nel creare conoscenza e confidenza verso le tecnologie AI – spiega il manager che, vantando un lungo passato nella programmazione software, ha un approccio estremamente pragmatico rispetto all’argomento -. La chiamiamo Intelligenza Artificiale ma, a tutti gli effetti, non è altro che un sofisticato programma software che combina matematica e statistica. Rispetto ad altre tecnologie, è diventato uno strumento più democratico e accessibile, ma non è una bacchetta magica. È una disciplina informatica che viene applicata ai dati e ai processi aziendali che, per essere implementata in modo corretto, richiede un approccio strutturato che parte da una base dati consistente”.

Ai nel Business come problem solver del Big Data Management

L’AI nel business, in virtù della sua capacità di elaborare, analizzare e interpretare vasti volumi di dati in modo efficiente e rapido, è la risposta tecnologica alle sfide poste dalla gestione dei Big Data. Ma, come spiega il manager, non basta aver visto strumenti come ChatGPT o essere stati colpiti dagli slogan pubblicitari sulla GenAI per definire una cultura aziendale pronta a utilizzare l’AI nel business. Poche, pochissime sono le imprese che sanno esattamente di che cosa hanno bisogno. La maggior parte sta sperimentando e, quando si rivolge a un partner tecnologico, capita persino che la domanda sia di innovare con l’AI certi processi che non hanno nemmeno bisogno dell’AI.

“Nella nostra attività di consulenza, succede anche di dover portare le aziende a rivedere certe decisioni – sottolinea Lavezzi -, evidenziando come la soluzione migliore deriva prima di tutto dalla razionalizzazione e ottimizzazione dei processi esistenti, magari utilizzando automazioni di base o rivendendo la user experience piuttosto che inseguire le ultime tendenze tecnologiche senza una reale necessità. Le linee di business devono capire che l’AI è la chiave per estrarre valore dai big data, elaborando e correlando grandi quantità di informazioni in tempi rapidissimi, offrendo insights che, altrimenti, sarebbero sfuggiti all’analisi umana. Ma è essenziale partire da una solida data governance”.

Alimentare gli algoritmi e i modelli di AI implica avere:

  • repository ben definiti
  • un processo di storicizzazione dei dati accurato
  • una rigorosa attenzione alla qualità e alla sicurezza dei dati raccolti
  • un’accurata gestione e pulizia dei dati

Senza queste premesse tecnologiche diventa estremamente difficile utilizzare quei dati come fondamento per garantire l’efficacia e la precisione delle soluzioni di Intelligenza Artificiale, garantendo che operi in modo efficace e sicuro.

Calcolare il ROI dell’AI nel business non è la chiave

Sebbene le potenzialità dell’AI nel business siano ampiamente documentate dagli analisti, molte organizzazioni, ragionando in termini di ROI immediato, si bloccano di fronte alla marginalità degli investimenti, piuttosto che sul focalizzarsi su quali progetti intraprendere, valutando i benefici dell’innovazione nel breve, nel medio e nel lungo termine.

“I tassi di adozione dell’AI dipendono fortemente dalla dimensione dell’azienda ma anche dalla sua propensione all’innovazione – commenta Lavezzi -. Soprattutto nelle PMI, la strada è spesso ostacolata da una limitata consapevolezza e conoscenza di come questa tecnologia possa essere sfruttata in modo efficace. La sfida più grande non è la tecnologia, che cuba solo un 10% nell’equazione complessiva. È la gestione delle persone e della cultura aziendale, componenti fondamentali che rappresentano il 70% del successo di qualsiasi progetto di innovazione, soprattutto quelli legati all’Intelligenza Artificiale mentre il restante 20% è attribuibile ai processi aziendali strutturati. Il vero sforzo deve concentrarsi sul quel 90% di persone e processi aziendali”.

Come gestire il cambiamento e la curva di apprendimento

Rispetto all’AI journey, ogni azienda deve capire come calare l’AI nel business gestendo il cambiamento attraverso attività di formazione mirate. È necessario che le aziende guidino la curva d’apprendimento delle persone. Anche perché gli utenti, senza strumenti opportunamente approntati, tendono a improvvisare, introducendo soluzioni e pratiche non ufficiali che arricchiscono il fenomeno dello Shadow IT, che ora prende anche connotazione di Shadow AI. La curiosità e la semplicità della GenAI, infatti, sta portando le persone ad adottare il Bring your own AI (ByoAI). Secondo gli analisti, oltre 7 persone lavoratrici italiane su 10 (73%) utilizza tool di AI al di fuori del perimetro aziendale (Fonte: Work Trend Index di Microsoft 2024).

“Bisogna istruire gli utenti che utilizzare soluzioni al di fuori dei sistemi ufficiali presidiati è estremamente rischioso – prosegue Lavezzi -. Che sia freemium o a pagamento poco importa, ma se un dipendente o un collaboratore nel suo fai da te alimenta un algoritmo o un modello con i dati aziendali, deve essere consapevole che quei dati, oltre a entrare a far parte del modello inseriscono dei bias cognitivi non presidiati. È fondamentale stabilire delle regole di gestione dei ruoli e delle responsabilità interne. Standardizzazione dei dati messi a disposizione, definizione dei meccanismi di protezione adeguati e criteri di gestione a livello di privacy e di responsabilità vanno messe a fattor comune per avere una buona base su cui lavorare per introdurre l’AI nel business. Supporto e formazione continua sono fondamentali per superare la curva di apprendimento delle nuove tecnologie”.

A questo proposito WeAreProject ha definito programmi allineati al livello dei partecipanti, con sessioni mirate per dirigenti e figure apicali che richiedono interventi sintetici ed efficaci, mentre per il personale operativo si offrono sessioni più dettagliate, spesso anche in modalità remota.

L’obiettivo finale è quello di equipaggiare le aziende con le competenze necessarie per implementare strategie tecnologiche efficaci, garantendo che ogni membro del team, dal top management agli operatori di linea, comprenda come l’AI nel business possa diventare un vero fattore abilitante, liberando tutto il potenziale dell’organizzazione.

Chi guida l’adozione dell’AI nelle aziende

Ma chi sono i principali promotori dell’adozione dell’Intelligenza Artificiale Generativa (GenAI) nelle aziende? Lavezzi evidenzia due trend opposti: top down e bottom up.

“Spesso veniamo chiamati perché la volontà di portare l’AI nel business è fortemente voluta dal CdA anche solo come leva di marketing – racconta il manager. In altri casi sono le figure apicali come CEO, CIO e CTO che riconoscono nell’AI uno strumento chiave per migliorare l’efficienza, automatizzare processi e innovare nelle operazioni aziendali. Tuttavia, le iniziative possono anche nascere dal basso, dove persone operative e appassionate, ispirate dall’uso personale di strumenti come ChatGPT, iniziano a esplorare come l’AI possa semplificare il loro lavoro. Le richieste e le spinte verso l’adozione dell’AI convergono nei middle management e nei reparti IT, che spesso non sono abbastanza preparati per gestire queste tecnologie. Ecco perché l’importanza di avere un partner esperto diventa cruciale, sia per evitare soluzioni improvvisate sia per garantire una corretta integrazione dell’AI nel business”.

Come ribadisce il manager, l’approccio vincente è quello di iniziare con progetti più piccoli e gestibili, i cosiddetti quick wins, che consentono di costruire gradualmente la fiducia e la competenza necessaria per sfruttare appieno le potenzialità dell’AI.

L’advisory d’innovazione di WeAreProject: ottimizzare con l’AI

L’AI nel business può automatizzare processi ripetitivi, liberando risorse per attività a più alto valore aggiunto, fornire analisi predittive che supportano decisioni più informate e tempestive, identificare pattern e tendenze critiche che altrimenti rimarrebbero nascoste, facilitando decisioni più informate e strategiche. Queste tecnologie potenziate permettono alle imprese di innovare, personalizzare l’esperienza del cliente e ottimizzare le operazioni, riducendo al contempo i costi.

WeAreProject offre un servizio di consulenza personalizzata che aiuta le aziende a sfruttare l’AI per ottimizzare il business. Identificando le opportunità per automatizzare attività ripetitive e migliorare l’efficienza operativa, WeAreProject accompagna le aziende in un percorso di trasformazione che le aiuta a comprendere e sfruttare le potenzialità dell’AI in modo che si integrino armoniosamente nei loro processi di business in modo scalabile.

“Metaforicamente parlando – conclude Lavezzi – l’AI è un’automobile che aiuta le aziende a raggiungere più rapidamente le mete perseguite. Con i modelli generativi, come quelli sviluppati dai giganti come META o IBM, spesso ci viene consegnata una macchina sviluppata da qualcun altro. Nel nostro ruolo di partner, noi siamo il Service che aiuta a scegliere il modello più adatto agli obiettivi di business, andandolo a personalizzare e a ottimizzarne l’uso per adattarla alle esigenze specifiche. Possiamo anche creare prototipi personalizzati, sebbene questi siano spesso adatti solo a contesti specifici e non trasferibili a un pubblico più ampio. L’AI non è una tecnologia autosufficiente e non è un pacchetto. È un progetto che richiede supervisione e un’adeguata comprensione per essere usata efficacemente”.

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