Che cosa c’entrano AI e automazione con il lavoro delle donne? Se da un lato come sappiamo l’era della digitalizzazione e dell’Intelligenza Artificiale cambierà profondamente il mondo del lavoro, facendo sparire professioni e creandone altre completamente nuove, dall’altro il saldo finale tra lavori persi e lavori creati potrebbe essere positivo solo nei paesi emergenti, con rischi maggiori per le donne, penalizzate dalla limitata rappresentanza nelle professioni ad alto contenuto tecnologico. Secondo lo studio “The future of women at work: Transitions in the age of automation” realizzato da McKinsey Global Institute (MGI), fra 40 milioni e 160 milioni di donne su scala globale (dal 7 al 24% delle occupate totali) dovranno spostarsi entro il 2030 verso ruoli che richiedono più competenze digitali e un adeguamento a una più diffusa automazione dei compiti.
Donne, quasi un quarto dei lavori a rischio in Occidente
McKinsey ha tracciato i possibili scenari tra dieci anni in 10 economie che oggi rappresentano circa le metà della popolazione e il 60% del Pil mondiali: Stati Uniti, Cina, India, Giappone, Canada, Uk, Germania, Francia, Sud Africa e Messico. Nell’era dell’automazione, alcuni lavori potrebbero sparire del tutto (jobs lost): per esempio, in Cina 52 milioni di donne rischiano di perdere il lavoro, pari al 15% delle occupate del paese nel 2017, ma negli Usa sono a rischio 19 milioni di lavori pari al 24% delle occupate, in Germania 4 milioni (21%), in Francia 3 milioni (22%) e in Uk 3 milioni (22%). In tutti e dieci i paesi studiati l’automazione potrebbe causare la perdita del lavoro per circa il 20% delle donne oggi occupate (107 milioni), contro il 21% degli uomini (163 milioni) entro il 2030.
Lo spostamento del lavoro: sfida al femminile
I lavori non più richiesti dal mercato sono, come è facile immaginare, quelli più facilmente automatizzabili: per le donne, soprattutto mansioni di segreteria e compiti meno specializzati nelle strutture sanitarie. Oggi più del 70% dei lavori nell’healthcare e nell’assistenza sociale in tutti i paesi studiati tranne l’India è svolto da donne.
La diversa distribuzione occupazionale rispetto agli uomini (prevalenti nelle fabbriche e nell’edilizia ma anche nei lavori più qualificati dell’economia digitale) fa sì che siano soprattutto le donne a doversi attrezzare per vincere la sfida dei lavori che non spariscono ma si “spostano” (jobs displaced) per effetto di automazione e AI: il 52% di quelli oggi svolti dalle donne potrà ricadere in questa categoria, contro il 40% dei lavori degli uomini.
Quanti lavori creerà la Cina
Ma c’è l’altro lato della medaglia. L’era dell’automazione e dell’AI potrà anche creare nuovi posti di lavoro per le donne: il traino saranno l’aumento dei consumi, il rafforzamento del settore healthcare e gli investimenti in infrastrutture e energia. I paesi emergenti, grazie ai ritmi di crescita del Pil, sono meglio posizionati: la Cina creerà 112 milioni di nuovi posti di lavoro al femminile, l’India 23 milioni, gli Usa 15 milioni, la Germania 4 milioni, il Regno Unito 3 milioni, Francia e Giappone rispettivamente 2 milioni.
Il 58% dei nuovi lavori creati per le donne nel 2030 si colloca in tre settori: sanità e assistenza sociale, manufacturing, e commercio (dettaglio e ingrosso), mentre per gli uomini il 53% dei nuovi lavori verrà da manufacturing, commercio (dettaglio e ingrosso), e servizi professionali, scientifici e tecnici. Se i trend occupazionali attuali resteranno invariati, con le donne sottorappresentate nell’hitech, nel mondo il 58% dei nuovi lavori andrà agli uomini e solo il 42% alle donne. Nei paesi occidentali, dove l’impatto dell’automazione sarà più forte, il saldo negativo tra lavori persi e creati sarà evitato solo puntando sui servizi professionali, scientifici e tecnici e le donne rischiano un fatale allargamento del gender gap.
Decisiva la partecipazione delle donne al progresso tecnologico
In generale, il lavoro cresce se crescono sia l’economia che la digitalizzazione, perché il progresso tecnologico nutre l’aumento della produttività. La digitalizzazione richiede a sua volta un aumento delle competenze digitali nei lavoratori. È lo scenario su cui devono necessariamente puntare i paesi occidentali: i trend storici negli Stati Uniti suggeriscono che fra dieci anni il 9% della popolazione potrebbe essere occupato in mansioni emergenti legate alla digitalizzazione e alla sostenibilità ambientale – non solo machine learning e AI, dunque, ma anche settori che spaziano dal ride hailing alla gestione delle risorse.
In ballo ci sono 150 milioni di nuovi posti di lavoro al 2030, secondo McKinsey, e solo l’impegno congiunto di governi, imprese e persone può spostare le percentuali con cui questi lavori saranno distribuiti nei diversi paesi del mondo.