Infrastrutture banda larga, più risorse alle start up e il coraggio di fare davvero la Pa digitale. Sembrano queste le priorità su cui concordano i principali partiti, in particolare PD, Pdl, Scelta Civica. Tutti si dichiarano d’accordo che l’Agenda digitale debba essere una priorità del prossimo Governo: una questione trasversale, non un tema verticale, perché è importante per il rilancio dell’economia italiana. Vale ben 70 miliardi di euro.
Sono i dati emersi venerdì al Convegno “Qual è la vera agenda digitale di partiti e coalizioni?” tenutosi presso l’Aula De Donato del Politecnico di Milano (Clicca qui per vedere il video dell’evento). Esponenti delle varie coalizioni politiche e docenti del Politecnico si sono confrontati sulle questioni dell’Agenda. I docenti hanno pressato i politici con domande per rivelare quali sono le loro vere intenzioni, in materia digitale: come intendono sollevare l’Italia dagli storici ritardi tecnologici, che sono anche fonte di recessione economica?
La stima sui vantaggi dell’Agenda è appunto dall’Osservatorio Agenda Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, realizzato con il supporto di: BravoSolution, Capgemini, Consorzio CBI, Engineering, ICBPI, HP, IBM, Intesa Sanpaolo, Italtel, Nolan Norton Italia, Orsyp, Postecom, Telecom Italia.
Il grosso, 35 miliardi di euro, verrebbe dal contrasto all’evasione fiscale e dal miglioramento dell’efficienza della PA; più 25 miliardi dalla semplificazione della relazione tra PA, imprese e cittadini. Il resto deriva grazie allo sviluppo delle startup; dall’aumento della produttività e dal calo dei costi per imprese, grazie a un’Italia che funziona più in digitale. Insomma, è proprio «riduttivo ormai parlare di Agenda digitale», visto che l’impatto sulla nostra società ed economia è a 360 gradi, come ha detto, all’inizio del convegno, il moderatore Umberto Bertelè, ordinario di Strategia e sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano.
«L’innovazione tecnologica non va vista come nicchia avulsa ma come settore fondamentale per liberare risorse finanziarie e per sprigionare la forza imprenditoriale del Paese», ha confermato, al convegno, il responsabile dell’Osservatorio Agenda Digitale, Andrea Rangone, secondo cui ‘«bisognerebbe stimolare un circolo virtuoso simile a quello statunitense, dove il 95% dei nuovi posti di lavoro creati vengono da società che hanno meno di 5 anni di anzianità».
È paradossale, quindi, che «di Agenda si è parlato pochissimo in campagna elettorale», ha detto Giuliano Noci, anche lui ordinario del Politecnico, presentando i risultati di una ricerca condotta su quello che i leader hanno detto su vari mezzi di comunicazione. I leader che ne parlano di più sono stati Bersani, Monti, Berlusconi e Grillo (in quest’ordine). Il numero di volte in cui Bersani ha citato i temi del digitale si è impennato negli ultimi giorni. «La macchina pubblica va modernizzata, ci sono grossi sprechi e bassa produttività. Molte misure per risolvere sono già state introdotte, ma l’attuazione è lontana», ha rincarato la dose, Mariano Corso, docente del Politecnico e responsabile insieme ad Andrea Rangone dell’Osservatorio Agenda Digitale. «Forse il problema è la volontà politica di fare veramente».
E’ proprio per testare questa “volontà politica” che il convegno ha chiamato in causa alcuni dei candidati più attenti alle questioni del digitale, dei diversi schieramenti.
Nelle due ore del convegno sono stati toccati tutti i temi dell’Agenda. Ma in sintesi: PD, Pdl e Scelta civica concordano nel dare maggiore unitarietà all’impegno politico in fatto di digitale e la soluzione sarebbe rimettere questi temi sotto la diretta responsabilità della Presidenza del consiglio.
«L’Agenda deve essere responsabilità di tutto il governo, sotto la Presidenza di consiglio, se no si procede molto lentamente. Abbiamo pagato già quest’anno questo deficit dell’unitarietà della governance», ha detto Marco Meloni (PD). «Dobbiamo anche riformare la didattica con risorse ben orientate, migliorare la formazione digitale del docenti. Ampliare le agevolazioni alle startup», ha aggiunto.
«Anche nel nostro programma c’è l’idea di assegnare la responsabilità dell’Agenda direttamente alla Presidenza del consiglio», dice Antonio Palmieri (Pdl), che concorda anche sull’impegno per le startup. «Per la banda larga bisogna procedere subito a un censimento di quanto realizzato, per evitare sprechi. Bisogna sostenere l’alfabetizzazione digitale ad ampio raggio, a famiglie e imprese», aggiunge. Palmieri sostiene anche l’urgenza di un Freedom of information act, per la trasparenza dei dati della Pa, in linea con quanto avviene negli Usa.
Questo è uno dei temi che stanno più a cuore al Movimento5Stelle: «con la trasparenza in Italia siamo al Mesozoico, ma serve anche a combattere Mafia e corruzione», ha detto Alex Curti, secondo cui inoltre è importante che la Pa faccia “marketing territoriale”, lavorando con gli operatori per reti congiunte e sostenendo la digitalizzazione delle imprese locali.
D’accordo con il Freedom of information act anche Francesco Sacco (Scelta civica), «serve più trasparenza, più automatizzazione ed efficienza della macchina pubblica. Vogliamo agire sul titolo V per infrastrutture: per le reti la competenza regionale si è rivelata inefficiente. Serve un catasto “open data” per mappare le reti e un nuovo piano frequenze per la banda larga mobile».
Più divergente l’intervento di Mario Caputi, esponente di Fare per fermare il declino: «Prima di banda larga e ultralarga – pensiamo a recuperare un minimo di infrastruttura. Ciò che è veramente mancato fino ad ora è l’impulso a liberalizzare per creare concorrenza e far emergere il merito».
Luigi Buoncristiani di Rivoluzione Civile ha insistito invece più su macro questioni, «serve un sistema più integrato, volto ad alleggerire la burocrazia e ad accelerare il passaggio alla banda larga».