La fatturazione elettronica verso la PA è stata solo l’inizio. Un nuovo passaggio epocale si prospetta in Italia il prossimo 1 gennaio 2019, con l’obbligo di fatturazione elettronica B2B (business-to-business), cioè per tutti i rapporti commerciali fra soggetti residenti in Italia.
Questa nuova fase ha un impatto molto più ampio della fatturazione elettronica verso la PA, per almeno due motivi. Il primo è l’ordine di grandezza: si parla di oltre un miliardo di fatture all’anno, mentre quelle tra aziende e PA sono qualche decina di milioni. Il secondo è la diversissima “maturità digitale” delle aziende coinvolte: si va da quelle che non hanno mai emesso una fattura elettronica, a quelle che hanno digitalizzato da anni (spesso in modi diversi da filiera a filiera) l’intero ciclo dell’ordine.
Si tratta quindi di una grandissima innovazione che coinvolge molte parti, e che richiede di creare le più adatte “condizioni al contorno” per essere facilitata. In tal senso qui proseguiamo un discorso avviato con un articolo su Agenda Digitale, che propone un possibile modello di fattura per conciliare l’esigenza di gradualità delle aziende più arretrate, e quella di tutela degli investimenti delle aziende che invece hanno già informatizzato fatturazione e ciclo dell’ordine.
Qui invece ci concentreremo su alcuni elementi cardine che, a seconda di come sono considerati, possono essere di facilitazione oppure di forte barriera per il funzionamento della Fatturazione Elettronica B2B, con particolare attenzione alle relazioni tra imprese.
La data di emissione fattura deve rimanere la data della fattura
Il problema “data” è uno dei principali scogli della fatturazione elettronica B2B. La data di emissione della fattura deve assolutamente rimanere la data della fattura. Questa soluzione – apparentemente banale – è preferibile perché è a impatto zero su processi, modelli di riferimento e sistemi in essere praticamente in ogni azienda.
Un esempio delle possibili criticità di soluzioni alternative viene dalla consegna delle merci: se una spedizione parte l’ultimo giorno del mese, quel giorno deve essere anche la data fattura. Se la data fattura fosse invece quella di elaborazione da parte di SdI, nel caso SdI abbia un qualsiasi tipo di problema, la fatturazione non avverrebbe entro la mezzanotte del giorno di partenza della spedizione, e i pagamenti a 30 gg data emissione fattura slitterebbero di ulteriori 30 giorni, con evidenti ripercussioni finanziarie, che potrebbero arrivare addirittura a condizionare le reazioni degli azionisti, se l’azienda fosse quotata in Borsa.
Un ulteriore problema emergerebbe anche sul fronte dei pagamenti. Alcuni dei clienti che inviano fatture esprimono un pagamento tipo “30 gg data fattura fine mese” con un codice. Ebbene, nella fattura PA (e quindi probabilmente anche in quella B2B) è obbligatorio inserire in numeri le unità temporali (giorni) per stabilire la data del pagamento. Quindi se la data di emissione diventasse la data di elaborazione da parte di SdI (che potrebbe differire dalla data fattura) avremmo qualche problema di calcolo qualora la fattura arrivasse dopo la mezzanotte “involontariamente”.
Conservando la data della Fattura come è oggi, l’Agenzia delle Entrate, con i dati delle fatture e i dati dello SdI, potrebbe comunque effettuare ogni verifica del caso davanti a differenze sostanziali tra data fattura e “data di elaborazione” da parte dello SdI.
I rischi del “rifiuto” nella fatturazione elettronica B2B
La possibilità di “rifiuto” della fattura è presente su SdI per aiutare le PA a respingere fatture prive dei dati necessari per essere registrati (o evidentemente sbagliate perché il mittente è ignoto). Invece per chi fa EDI il rifiuto non esiste come opzione perché il mittente non può essere ignoto. I sistemi EDI si basano su relazioni riconosciute con i destinatari (“interchange agreement”), in assenza delle quali la fattura non arriva proprio.
Il rifiuto delle Fatture nella fatturazione elettronica B2B, quindi, entrerebbe “a gamba tesa” su processi che vengono sviluppati per creare efficienza ed evitare casistiche strane. Addirittura, nei sistemi di molti VAN (provider che gestiscono lo scambio di documenti in formato elettronico strutturato), inserire il rifiuto di un file EDI che risulta corretto non è consentito. Se riporta dati errati, andrà in contestazione e verrà gestito in contenzioso (merce danneggiata, prezzi sbagliati, merce mancante, ecc.), se manca di elementi obbligatori viene scartato (anche automaticamente). Ma se risulta formalmente corretto, non esiste ragione per poterlo rifiutare.
La fattura EDI segue procedure automatizzate e consolidate in anni di affinamento e accordi. Se da un momento all’altro potesse essere rifiutata dal ricevente – cosa permessa dallo SdI unilateralmente – si metterebbero a repentaglio i vantaggi di tali processi, introducendo pesanti costi di adattamento per le aziende. Inoltre c’è il rischio dell’uso del “rifiuto” di una fattura per rinviarne la ricezione a mesi successivi e quindi diluire unilateralmente i tempi di pagamento.
La necessità di poter mettere a punto il processo in un ambiente di test
Per mettere a punto il processo di fatturazione elettronica B2B occorre fare test massivi. Se le aziende saranno obbligate a partire senza poter sperimentare, e verificare la “potenza di ricezione” di SdI sotto stress, il rischio di un blocco ricadrà tutto su di loro e sui loro business. Se non fosse possibile avere un sistema di test sarebbe auspicabile introdurre almeno un periodo di test non sanzionabile, che consenta alle imprese di capire se la fattura può non arrivare nei tempi previsti, o può arrivare errata e in quali volumi.
L’importanza di testare i flussi sotto sforzo deriva anche dal fatto che oggi su SdI passano alcune decine di milioni di Fatture, quelle inviate alla PA, mentre nel solo B2B se ne contano più di un miliardo all’anno (e altrettante circa nel B2C, tra scontrini e simili). Per di più questi volumi si concentreranno almeno inizialmente a fine mese, portando SdI a gestire in pochi giorni flussi paragonabili a quelli gestiti oggi in un anno (tra 30 e 40 milioni di fatture almeno).
L’utilità di un Protocollo Nazionale
L’approccio del Protocollo Nazionale potrebbe facilitare il percorso della fatturazione elettronica B2B, garantendo massima trasparenza sullo SdI. L’idea è di apporre un numero di validazione (progressivo su base annua, che potrebbe legare le partite IVA di emittente e cliente) o analogo codice su ogni Fattura inviata a SdI, per poi rimandarla al mittente oppure dirigerla verso il destinatario.
Si eviterebbe di mappare ogni singolo punto di ricezione (un lavoro intenso che sulle PA ha dato origine all’IPA e che nel mondo delle imprese ha almeno due ordini di grandezza di complessità in più). Chi oggi scambia documenti in formato elettronico strutturato può continuare a farlo, arricchendo del codice di validazione i dati scambiati. Chi carica le fatture su Portali può continuare a farlo e chi ha sviluppato portali per la raccolta delle Fatture può continuare a usarli. Il Protocollo Nazionale consentirebbe alle community EDI di funzionare con modelli analoghi a quello del flusso semplificato (come oggi funziona la relazione tra la digitalizzazione del ciclo dell’ordine in Emilia Romagna e SdI, per esempio).
In questo scenario, SdI assume un ruolo più di validazione delle fatture emesse, che di “postino”. Si conserva il beneficio della tracciabilità delle Fatture (quelle senza codice non risulterebbero valide) ma senza l’onere di doversi costruire e mantenere un indirizzario affidabile e sicuro per tutti gli attori economici del Paese.
La necessità di operare con più intermediari, codici destinatari, e PEC
In diversi settori già oggi abbastanza digitalizzati, in cui è diffuso l’EDI, ci sono multinazionali che operano direttamente, e allo stesso tempo con diversi VAN. E che utilizzano anche diversi sistemi di invio della fattura: via EDI, via email in PDF e/o via posta e/o via portale aziendale, ecc. E le stesse fatture possono essere di varie tipologie: differite, immediate (“fatte al banco”, come gli scontrini), che accompagnano la merce.
Insomma, il quadro non è banale e sembra ancora più complicato se si pensa di affrontarlo con un unico operatore (nazionale): richiederebbe di cambiare completamente l’organizzazione aziendale. Se ogni operatore attualmente al centro di relazioni EDI potesse invece proseguire nel suo ruolo anche per l’invio a SdI – seguendo un approccio da sempre sostenuto anche dall’Osservatorio Fatturazione Elettronica e eCommerce B2b del Politecnico di Milano – l’impatto sarebbe minimo, le fatture veicolate non poche, e si potrebbe anche partire subito.
Il ruolo dell’intermediario che emette per nome e conto dell’azienda potrebbe essere previsto nel tracciato XML della fatturazione elettronica B2B, così da poter ricostruire e verificare eventuali problemi. È poi importante poter evitare – a chi non lo desidera – di ricevere fatture da un canale che non intende presidiare (per esempio, via PEC nelle grandi imprese). La proliferazione incontrollata dei canali obbligherebbe tutte le aziende (anche le PMI) ad acquisire risorse ad hoc solo per occuparsi di questa attività. La pluralità oggi vigente consente di automatizzare molti processi aziendali: erodere questa pluralità non sarebbe una semplificazione ma un extracosto di adattamento non sottovalutabile.
Questi elementi si aggiungono ad alcune specificità di filiera che potrebbero portare a situazioni di “stallo”. Per esempio, la gestione all’interno della struttura del tracciato Fattura dei prodotti “omaggio” o degli “sconto merce”, consuetudini diffuse nelle filiere degli elettrodomestici o dell’elettronica di consumo, ma anche nel largo consumo in generale, che a una prima osservazione non sembrano semplici da traghettare nello standard della Fatturazione Elettronica.
Il rischio del “doppio ciclo” di fatturazione: ciclo esistente e SdI
L’impressione è che la sfida della fatturazione digitale B2B per l’Italia sia davvero ambiziosa. Da un lato lodevolissima, perché promuove strumenti in grado di portare cultura digitale ed efficienza. Dall’altro, ad alto rischio. Soprattutto se si considera che una eventuale mancanza di efficacia di SdI – posto attualmente un po’ troppo al centro di ogni relazione di business – potrebbe sia creare blocchi (o addirittura danni?) nelle relazioni tra imprese, sia peggiorare l’immagine del Sistema Paese presso i partner europei.
I circuiti EDI esistenti in Italia, e i Portali B2B privati delle singole imprese verso il loro indotto, potrebbero svolgere un ruolo di supporto non trascurabile. Già oggi sostengono molte relazioni B2B e potrebbero essere asset sfruttabili nel percorso di Fatturazione Elettronica del Paese, invece che strutture “parallele” da affiancare o addirittura sostituire (per il solo documento Fattura, oltretutto, uscendo quindi dalla gestione “per processo unico” che tanti benefici può dare). Il rischio è che le imprese conservino le loro reti attuali e accettino di duplicare i soli documenti Fattura a beneficio di SdI. In questo modo, l’obbligo di Fatturazione Elettronica risulterebbe a tutti gli effetti solo un costoso e inopportuno adempimento fiscale.