La trasformazione digitale dei processi porta sicuramente benefici, ma come quantificarli, per giustificare gli investimenti in tecnologie sia dal punto di vista dell’utente – l’IT aziendale e/o, sempre di più, le linee di business – sia da quello del vendor che propone tali soluzioni?
Per approfondire questo tema, TESISQUARE ha organizzato con il supporto di P4I-Partners4Innovations, società di consulenza e coaching, un percorso interattivo di incontri trimestrali riservati ai suoi clienti. Battezzato Digital Performance Lab, il percorso ha preso il via qualche settimana fa nella Tenuta di Eataly a Fontanafredda con il primo evento, dal titolo “Metodi e strumenti per misurare i benefici dell’innovazione digitale”.
«Progettando la giornata del ventennale di TESISQUARE, l’anno scorso, abbiamo pensato di confrontarci con clienti, esperti accademici e operatori del settore ICT attraverso una serie di eventi sui temi oggi più sentiti nel nostro campo d’azione, come supply chain finance, digital factory, multicanalità nel Retail, collaborazione nelle supply chain complesse», ha spiegato Giuseppe Pacotto, CEO della società. «L’obiettivo è discutere gli effetti della digitalizzazione sul business, divulgando casi di successo, e distinguendo le vere innovazioni dai semplici “rebranding” di tecnologie già disponibili da anni, e le vere best practice dai falsi miti».
Nel suo intervento di scenario, Raffaello Balocco, membro del Comitato Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e docente dello stesso ateneo, ha poi ricordato che storicamente l’IT è sempre stata considerata attività di staff, cioè centro di costo. «Per questo nella teoria strategica l’IT non è associata al valore generato dell’impresa, ed è molto difficile progettare efficaci sistemi di MBO e Performance Management per quest’area».
D’altra parte le tecnologie digitali sono sempre più pervasive e strategiche, «così da qualche anno con gli Osservatori abbiamo iniziato a studiare come le aziende più avanzate, italiane e internazionali, misurano il valore di questi progetti e della funzione IT, scoprendo che in sostanza si usano 4 tipi principali di KPI, Key Performance Indicator».
4 tipi di KPI: disponibilità, costi, giudizio degli utenti, e impatti sul business
Il primo tipo è “basico” e si concentra sulla disponibilità dei sistemi per gli utenti finali. Il secondo, più evoluto, impiega metriche economiche di costo e investimento sia prima del progetto (ex ante) sia quando il sistema è operativo (ex post). Il terzo, ancora più evoluto, misura la qualità dei sistemi percepita dagli utenti finali e la loro “user satisfaction”. Infine il tipo di KPI più evoluto misura direttamente gli impatti dell’IT sul business, per esempio la crescita in un’azienda retail del tasso di rotazione scorte con un nuovo sistema di gestione del magazzino, o in una telco del tasso d’attivazione di nuove linee grazie a un nuovo sistema CRM.
«Questi KPI non sono totalmente sotto il controllo del CIO, ma essendo condivisi lo allineano con gli altri manager su obiettivi di business. Per il CIO è un cambiamento epocale essere valutati non più solo sul rispetto di scadenze e costi di progetto, ma anche su indici collegati direttamente ai risultati dell’azienda».
Il problema è che non è sempre facile definire relazioni causali affidabili tra progetti digitali e performance di business. E non è detto che la cultura aziendale faciliti la collaborazione tra manager, soprattutto se questa non è promossa dall’alta direzione.
Oltre a valutare i sistemi digitali quando sono già operativi, occorre cercare di quantificarne i possibili benefici prima di implementarli. Per farlo si usano tecniche di valutazione “ex ante”, finanziarie o non finanziarie. Le prime si basano su attualizzazione dei flussi di cassa (DCF, per esempio il NPV) e calcolo della creazione di valore (EVA), le seconde (approcci strategici, metodi multi-attributo, ROI) si soffermano sugli impatti qualitativi.
Le tecniche finanziarie hanno i vantaggi dell’oggettività e della quantificazione del valore economico, ma il grande problema di come tradurre in numeri i benefici evidenti ma intangibili («per esempio il fatto che l’amministratore delegato grazie a un sistema di business intelligence decide prima e in modo più informato») o fortemente variabili a causa di scenari poco prevedibili.
Sintetizzando, continua Balocco, in situazioni di prevedibilità molto bassa e rilevanza dell’investimento non alta si preferiscono tecniche non finanziarie. Ogni volta che è possibile, soprattutto per progetti rilevanti, si usano invece tecniche DCF (in particolare NPV), preferibilmente modificate per tener conto degli aspetti qualitativi. Solo in alcuni casi si usa l’EVA, mentre è più diffusa la valutazione basata solo su stime dei costi, magari confrontata con benchmark.
La “trappola del caso-base”: cosa succede se il progetto non si fa?
È importante però che anche il “caso-base”, cioè la decisione di non investire e mantenere la situazione attuale “as is”, sia sottoposta a una valutazione di
benefici: cosa succederà a tre anni se non introduco, per esempio, un sistema CRM o di Logistic Management? È possibile anche che le performance peggiorino fortemente. Un grave errore infatti è dare per scontato che tutto continuerà come ora: con la digitalizzazione non succede quasi mai, perché i concorrenti e le regole della competizione cambiano molto rapidamente.
«Come Osservatori abbiamo constatato che nella realtà quotidiana le misure, sia ex ante sia ex post, sono poco diffuse, e la valutazione degli impatti dell’investimento sul business è limitata e coinvolge solo in parte la direzione ICT, perché svolta soprattutto dall’ufficio Amministrazione/Finanza e/o dagli utenti. Questa è anche una perdita di opportunità: al di là del calcolo dei numeri, provare a stimare l’impatto sul business di un sistema digitale obbliga a un processo che di per sé genera consapevolezza e collaborazione tra business e IT, il che è un ritorno “culturale” fondamentale».
L’evento ha visto poi l’intervento di Paolo Catti, Associate Parter di P4I – Partners4Innovation, che ha proposto un modello di valutazione degli investimenti nel digitale: un “albero dei benefici” che distingue innanzitutto tra vantaggi tangibili e intangibili, quindi nei primi tra variazioni dei ricavi e dei costi generati dalla soluzione, e nei secondi tra aumento della soddisfazione degli utenti e miglioramento dell’immagine, scendendo poi in vari gradi sempre più nello specifico. Nel prosieguo dei Digital Performance Lab, tale modello sarà applicato per esercizio dai clienti TESISQUARE ad alcuni casi elaborati ad hoc da P4I.
«Per la prima volta un progetto IT può anche aumentare i ricavi, non solo ridurre i costi»
Nella fase finale dell’incontro, dedicata al dibattito, diversi sono stati gli interventi dei clienti e gli spunti di riflessione. Piuttosto diffusa risulta la prassi di valutare costi e benefici solo per gli investimenti innovativi “di business”, distinti da quelli “tecnici” che garantiscono la continuità dei sistemi informativi. Gestire in modo diverso l’IT “di mantenimento” e l’IT “per l’innovazione”, pur con le criticità di governance connesse, è un’esigenza sentita.
È stata citata da molti poi anche la difficoltà di definire benefici direttamente connessi ai nuovi sistemi, rispetto ai risparmi ottenibili anche con i sistemi attuali, ottimizzando i processi. Molto interessante in questo senso è la best practice di “confrontare sul campo” il sistema vecchio e il nuovo grazie a test POC (“proof of concept”) che fanno percepire le differenze direttamente all’utente finale, diffondendo la consapevolezza dei benefici del digitale “dal basso”.
L’opinione condivisa, comunque, è che nonostante le difficoltà vale la pena di impegnarsi a fondo per evidenziare i benefici del digitale. Come ha detto un cliente TESISQUARE del settore Retail, «con la digitalizzazione forse per la prima volta nella storia un progetto IT può produrre non solo riduzioni di costi, ma anche aumenti di ricavi, e questo davvero mette il CIO sul piano del business».