Il rapporto tra diritto di cronaca e tutela dei dati personali è indubbiamente delicato, trattandosi di diritti fondamentali la cui rispettiva e piena realizzazione potrebbe dar luogo a conflitti.
Se, da un lato, il diritto di cronaca è espressione della libera manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) e si determina attraverso la narrazione di fatti alla collettività, dall’altro la tutela della privacy trova fondamento nel diritto alla riservatezza, inteso come protezione della sfera privata individuale (artt. 2, 13, 14 e 15 Cost.).
In questo contesto, ci si sofferma sul perimetro di legittimità del trattamento da parte del giornalista dei dati sanitari delle persone coinvolte in vicende di cronaca.
Trattamento dei dati sanitari e diritto di cronaca
Un importante contributo in materia è fornito dalle Regole deontologiche relative al trattamento di dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica pubblicate ai sensi dell’art. 20, comma 4, del d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, riconosciute dal Garante per la Protezione dei Dati Personali conformi al Regolamento UE 2016/679. Esse costituiscono un insieme di norme volte a contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto all’informazione e la libertà di stampa. In particolare:
- L’art. 5 prevede che i dati sanitari – ossia i dati atti a rivelare le condizioni di salute, i dati genetici e biometrici – possono essere oggetto della notizia giornalistica relativa a fatti di interesse pubblico. Inoltre, l’informazione deve risultare essenziale;
- L’art. 6 interviene a chiarimento e definizione del concetto di ‘informazione essenziale’, stabilendo che la divulgazione di notizie d’interesse pubblico/sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l’informazione risulta indispensabile in ragione dell’originalità del fatto, della relativa descrizione ovvero della qualificazione dei protagonisti;
- L’art. 10 impone al giornalista di rispettare la dignità, la riservatezza e il decoro della persona malata cui la notizia si riferisce, specialmente nei casi di malattie gravi o terminali. In aggiunta e in linea di continuità con le prescrizioni contenute nei citati artt. 5 e 6, la pubblicazione sarà ammessa se l’informazione assume i connotati di essenzialità.
Secondo le prescrizioni impartite dalle Regole Deontologiche, i giornalisti sono quindi tenuti a valutare attentamente l’importanza e il rilievo pubblicistico delle informazioni sanitarie da divulgare, omettendo la pubblicazione di quei dati che risultino non ‘essenziali’ e lesivi della dignità personale.
Il caso Messina Denaro
Esempio concreto dell’applicazione di tale principio è il recente caso della diffusione dei dati sanitari di Matteo Messina Denaro.
In concomitanza al suo arresto, diversi organi di informazione hanno pubblicato dati sanitari del superlatitante, compresa la cartella clinica, oltre a dettagli correlati alla sua vita sessuale, dando vita a una vera e propria rincorsa mediatica nel fornire quanti più dettagli possibili.
Tale accadimento ha sollevato una serie di questioni giuridiche ed etiche, posto che, come visto, i giornalisti possono raccogliere e diffondere informazioni sulla salute delle persone solo se rilevanti per l’interesse pubblico e se rispettose della dignità della persona.
Sebbene sia indubbio l’interesse collettivo alla cattura di Matteo Messina Denaro, non può giungersi automaticamente alla medesima conclusione per quanto riguarda la divulgazione dei suoi dati sanitari.
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali, in un proprio intervento del 19 gennaio 2023 titolato “Messina Denaro. La riservatezza appartiene a tutti, mostri inclusi”, ha evidenziato che, a differenza di altri, questo è un caso in cui si palesa il confine del diritto di cronaca e il limite del pubblico interesse.
Infatti, la diffusione della cartella clinica e delle informazioni sulla vita sessuale di Matteo Messina Denaro non aggiunge alcunché alla sua latitanza e all’avvenuto arresto, visto che entrambe le notizie avrebbero ben potuto essere condivise conservando il proprio rilievo pubblicistico, anche semplicemente accennando alla sofferenza di una grave patologia.
Le informazioni sui dati di salute non risultavano, pertanto, essenziali, secondo quanto previsto dalle Regole deontologiche, e la diffusione delle stesse non poteva dirsi legittima in assenza di consenso.
Diffusione di dati di salute e responsabilità dell’Ente ospedaliero
Ancora sull’assenza di consenso e sulla responsabilità solidale dell’Ente ospedaliero che ha consentito la raccolta delle immagini relative a dati di salute dei pazienti, ancorché oscurate, si è recentemente pronunciata la Suprema Corte con il provvedimento: Cass. Civ., Sez. VI-1, ordinanza n. 27267 del 16 settembre 2022.
Di fronte alla diffusione della videoripresa del parto di una paziente e delle immagini della di lei figlia nei primi momenti di vita, senza previa raccolta del consenso dell’interessata, la Suprema Corte ha indagato se l’attività condotta dall’ospedale – che ha autorizzato le riprese – e dalla troupe televisiva trovasse fondamento nell’eventuale essenzialità dell’informazione e nell’interesse pubblico sotteso alla sua divulgazione.
Tuttavia, i Giudici di legittimità, richiamando l’art. 137, comma 3, del Codice Privacy, hanno negato tale possibilità, orientandosi su un’interpretazione rigorosa del requisito di ‘informazione essenziale’, soprattutto ove i dati siano inerenti alla vita privata dei soggetti interessati (cfr., Cass. n. 22741/2021), e sull’assenza di prova dell’interesse pubblico alla divulgazione, onere che incombe sulla parte che ha operato la diffusione e “che, nel caso in esame, non può dirsi concretamente assolto, dato il generico richiamo alla libertà di espressione e al diritto di cronaca”.
Pertanto, sono stati chiamati a rispondere solidalmente del fatto dannoso sia l’emittente televisiva sia la struttura sanitaria.
Nell’esaminare il caso, la Suprema Corte ha affermato alcuni principi di particolare interesse con riferimento alla responsabilità dell’Ente ospedaliero rispetto alla diffusione di immagini e dati di salute dei propri pazienti.
Trattamento dati sanitari, il pronunciamento della Suprema Corte
Innanzitutto, sul piano strettamente giuridico, la Corte ha evidenziato che la responsabilità esistente in capo all’Ospedale è di tipo contrattuale, con conseguente prescrizione decennale e non quinquennale per l’azione di risarcimento del danno, in quanto la struttura è “gravata da precisi obblighi di protezione nei confronti dei pazienti; in altre parole, l’esistenza di un rapporto qualificato tra medico e paziente determina l’emersione di obbligazioni accessorie, che comprendono il dovere di protezione della sfera giuridica dell’assistito a fronte di potenziali lesioni provenienti da terzi. (Cass. n. 24071/2017; n. 10516/2017)”.
In secondo luogo, la Corte chiarisce l’estensione del contenuto dell’obbligazione di spedalità, ritenendovi integrato “l’obbligo di garantire non solo le prestazioni propriamente medico-sanitarie ma anche quelle organizzative e di accoglienza anche esse finalizzate alla miglior attuazione delle prestazioni mediche e della cura dei pazienti. In questo novero di prestazioni rientra indubbiamente anche quella di garantire la stretta limitazione degli accessi dei soggetti estranei all’ospedale e la rigida modalità di comportamento da imporre nelle fasce di accesso in particolare poi nelle ore notturne e nelle fasi più delicate dei trattamenti ospedalieri”.
Le riprese televisive all’interno degli ospedali
La Corte ha valutato che l’attività di ripresa televisiva all’interno dell’ospedale costituisce “attività potenzialmente lesiva delle condizioni di accoglienza dei pazienti richiesta da un normale ambiente ospedaliero e potenzialmente lesiva del diritto dei pazienti alla tutela della propria riservatezza e delle norme di trattamento dei dati personali”.
A fronte di tale intrinseca potenziale lesività, l’Ospedale avrebbe dovuto maggiormente vigilare sul rispetto dei limiti entro i quali era stata concessa alla troupe televisiva l’autorizzazione ad entrare nell’Ospedale e a svolgere le riprese. In questo senso, sull’Ospedale gravava un’ulteriore obbligazione di protezione nei confronti dei pazienti sulla quale ha richiamato un proprio precedente: Cass. civ. sez. III n. 19658 del 19 agosto 2014.
Da ultimo, la Corte ha respinto la difesa dell’Ente Ospedaliero e della società di produzione televisiva circa l’effettuato oscuramento delle immagini per rendere la persona irriconoscibile.
La Corte ha statuito che di fronte a dati personali sensibilissimi e all’esposizione al pubblico del corpo di una persona che si è manifestamente opposta alla diffusione dell’immagine, l’eventuale oscuramento e la conseguente eventuale irriconoscibilità o mancata identificazione da parte del pubblico della persona ritratta risultano irrilevanti.
Rimane, invece, integrata la gravissima violazione della dignità e riservatezza della persona.
Conclusioni
Dal quadro rappresentato si desume che il rapporto tra il diritto di cronaca e la tutela dei dati sanitari è un tema complesso e delicato, ma non indefinito.
Da una parte è fondamentale garantire la libertà di informazione e il diritto di cronaca, ma dall’altra è altrettanto importante tutelare la riservatezza e la dignità dei pazienti e, generalmente, degli interessati (richiamando il Garante, “mostri inclusi”), seguendo i binari tracciati dalla normativa applicabile, secondo un’interpretazione rigorosa della scriminante dell’essenzialità dell’informazione e dell’interesse pubblico come valutata dalla Corte di Cassazione e considerando, quanto alla responsabilità delle strutture sanitarie, gli obblighi di tutela della dignità e riservatezza del paziente ricompresi nelle prestazioni sanitarie dovute allo stesso.