Nelle grandi corporation (e non solo) oggi la figura dominante dal punto di vista dell’immagine non è più quella del CEO, che spesso mantiene un basso profilo e lascia la scena ai fondatori, o agli investitori più importanti. Ma anche sotto il profilo del potere interno, il CEO non è più il decisore assoluto, perché c’è un’altra figura manageriale che ha visibilità su tutte le attività aziendali, e il cui “no” può affondare definitivamente un progetto: il Chief Financial Officer (CFO), cioè il direttore finanziario.
È la tesi di un articolo dell’ultima edizione dell’Economist, dal titolo molto esplicito: “The Imperial CFO”. Il Chief Financial cinquant’anni fa era una figura rarissima, spiega il prestigioso periodico: c’erano i direttori amministrativi e contabili, al massimo qualche controller. Oggi invece in azienda il CFO è temuto da tutti: le società di recruiting li chiamano “co-pilot” e in molte realtà di primo piano (l’articolo fa l’esempio di Anthony Noto, CFO di Twitter) sono di fatto i principali decisori.
Per queste figure oggi il controllo della correttezza dei conti non è più l’obiettivo ultimo, ma il modo per supportare le strategie aziendali che loro stessi hanno contribuito a definire, allocando i capitali per realizzarle. Inoltre rispetto a qualche anno fa hanno una conoscenza molto più approfondita delle attività e operation aziendali – per dare un significato concreto ai numeri su cui lavorano – e una visibilità enormemente più alta in termini di comunicazione e relazioni esterne. Oggi, scrive l’Economist, gli analisti e gli investitori sono più interessati alle conference call del CFO che a quelle del CEO. «A volte il destino di quest’ultimo è segnato quando si mette contro il CFO, come è successo in HP a Leo Apotheker quando ha voluto l’acquisizione di Autonomy con il parere contrario della CFO Cathie Lesjak».
EY: «Un ruolo forse ormai troppo vasto per una persona sola»
Il crescente potere del CFO peraltro è remunerato di conseguenza, sottolinea l’Economist: nel 2014 il compenso medio annuale di un CFO di un’azienda S&P 500 è stato di 3,8 milioni di dollari, con una punta di 43,8 milioni per Thomas Pichette, allora Chief Financial di Google. E di conseguenza aumenta la loro influenza: sono sempre più spesso nei team che selezionano i CEO, e secondo EY nel 2012 il 50% dei CFO delle 350 più grandi corporation mondiali sedeva anche nel board di un’altra azienda: dieci anni prima tale percentuale era del 36%.
Diverse tendenze secondo l’Economist spiegano l’ascesa della figura del CFO: la sempre crescente influenza del mercato finanziario sul valore delle aziende, le normative per la trasparenza della contabilità come la Sarbanes-Oxley, la crisi economica esplosa nel 2008 – che ha concentrato per anni l’attenzione delle aziende sul controllo dei costi – e l’evoluzione dei sistemi informativi per l’analisi e il controllo dei dati, che permettono loro di avere una visione completa in tempo reale di ciò che sta accadendo in azienda.
È un bene che il ruolo del CFO sia diventato così “imperiale”? Rispondere è difficile. Ci sono pessimi esempi come Andrew Fastow, il potentissimo CFO di
Enron condannato a sei anni per truffa dopo il clamoroso fallimento del colosso americano dell’energia nel 2001. Ma d’altra parte il CFO è uno dei ruoli a più alta presenza femminile (il 13% contro il 5% medio degli altri top manager), e a più bassa “durata”, in media 5 anni nelle aziende quotate in USA contro i 7 del CEO. È il ruolo con la più alta percentuale di compenso variabile, e soprattutto uno di quelli a più alto profilo e ampio ventaglio di competenze richiesto, tanto che EY in un recente report scrive: «È un incarico che forse è diventato troppo vasto perché una persona sola possa farlo bene».
E molto vasto è anche l’insieme di strumenti che il CFO ha a disposizione, le leve che può muovere, e le regole che deve rispettare ma che può anche “interpretare”, come nel caso delle “internal charges” per concentrare i profitti di una multinazionale nei paesi dove le tasse sono più basse. Insomma, secondo l’Economist è preoccupante che un top manager diventi tanto potente da poter essere definito “imperiale”, soprattutto se ha un ruolo tanto delicato come quello del CFO.