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Censis: gli italiani hanno fiducia nelle nuove tecnologie, ma con qualche riserva

All’Innovation Week di Milano, oltre al confronto tra associazioni, imprese e pubblica amministrazione è stato protagonista il report sulle aspettative dei cittadini rispetto alle opportunità offerte dalla digital transformation. Aziende e università i soggetti più credibili. Il Ministro Madia: «Anche il pubblico si è messo al passo del privato»

Pubblicato il 29 Giu 2016

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Marianna Madia, ministro della Semplificazione e della Pubblica amministrazione

È un segnale di generale ottimismo quello che è arrivato dalla Innovation Week di Milano. La manifestazione, che ha avuto luogo a Milano dal 7 al 10 giugno, ha puntato i riflettori su Palazzo Edison, che per tre giorni ha riunito associazioni, pubblica amministrazione e imprese intorno a un tavolo che ha fotografato lo status quo dell’innovazione in Italia. Un fenomeno che non va osservato solo rispetto all’avanzamento sul piano tecnologico ed economico, ma anche e soprattutto culturale. Aspetto che è stato corroborato dal Rapporto 2016 Cotec-CheBanca! a cura del Censis, che ha per l’appunto indagato la percezione e le aspettative degli italiani rispetto a una serie di tematiche che persino per gli addetti ai lavori spesso sono ancora difficili da qualificare.

Innanzitutto il 49,1% dei rispondenti al sondaggio definisce l’innovazione come l’introduzione di un bene o un servizio che cambia le abitudini in maniera decisiva. Gli elementi alla base di questa discontinuità? Creatività (48,4%), intuito (31%) e grande curiosità (30,1%), qualità tipiche soprattutto delle startup innovative, secondo il 38,6% del campione, seguite da università e centri d’eccellenza (35,6%) con, al terzo posto (21%) nell’immaginario collettivo, le grandi aziende che puntano su ricerca scientifica e tecnologia.

Sempre in termini di percezione, l’Italia sarebbe al quinto posto nella classifica (dominata dagli Stati Uniti) dei Paesi capaci di innovare. Le nuove tecnologie, negli ultimi anni, hanno generato molti benefici – ma non senza qualche controindicazione – per il 57,9% degli italiani, con vantaggi riscontrabili specialmente in ambito farmaceutico (87,2%). Una delle criticità? Stando al 57,1% dei rispondenti al sondaggio, l’innovazione amplifica il divario sociale, da una parte perché non tutti riescono a beneficiare in ugual misura della trasformazione digitale, dall’altra perché spesso può ripercuotersi sulle opportunità di lavoro (39,8%), che diminuirebbero a causa dell’introduzione dei processi automatizzati. Ciò nonostante, per il 63,7% del campione coinvolto, la tecnologia può contribuire a migliorare la situazione individuando sistemi che riducano l’impatto sull’ambiente migliorando l’efficienza nella distribuzione di prodotti e servizi.

«Le nuove tecnologie ci consentono di trasformare la pubblica amministrazione in modo più democratico perché con esse si può garantire una maggiore trasparenza», ha in effetti confermato il ministro della Semplificazione e della Pubblica amministrazione Marianna Madia aprendo i lavori dell’Innovation Week. «C’è ancora la sensazione di un privato che va veloce e innova e di un pubblico che invece fa fatica e appesantisce tutto il sistema. La realtà non è così. L’Agenda Digitale è strategicamente al centro dell’azione del governo: essa», ha continuato Madia, «non è solo un insieme di innovazioni, ma una vera e propria leva di sviluppo per aprire nuovi mercati e moltiplicare l’interazione tra pubblico e privato». Il ministro ha poi aggiunto che oggi l’Italia ha una delle legislazioni più innovative sulla trasparenza, grazie alla quale «si aggredisce la zona grigia che va dall’illecito allo spreco. Adesso c’è il grande lavoro dell’attuazione, sia per l’Identità Digitale che per i nuovi diritti che derivano dal Foia. Se crediamo nei benefici dei cambiamenti è il momento di condividere tutti insieme un pezzo di responsabilità», ha concluso Madia.

Elio Catania, presidente di Confindustria digitale, ha invece indirizzato il tema dell’evoluzione degli equilibri tra domanda e offerta di impiego. «Per ogni posto di lavoro eliminato dalla trasformazione digitale, se ne creano tre, lo dicono le statistiche dei paesi del Nord Europa dove la digitalizzazione è più avanti», ha precisato Catania. «Naturalmente sono professionalità diverse: metà dei lavori da qui ai prossimi vent’anni devono ancora essere inventati».

L’amministratore delegato di Edison Marc Benayoun ha infine parlato delle potenzialità offerte dai servizi e dai sistemi costruiti sull’Internet of Things, dalle smart grid alle case connesse, dei Big Data applicati, ancora una volta, al settore energetico, e delle sfide poste dalla sharing economy, che trasforma ciascun cittadino in un fornitore e fruitore di servizi. Si tratta in ogni caso di una trasformazione che il fronte dei consumatori – forse in maniera non del tutto consapevole – sta già vivendo, adattandosi ai cambiamenti che la user experience delle mobile app continua a provocare. Sul lato delle imprese, invece, i tempi di reazione sembrano essere ancora troppo lenti. La proposta di Marco Gay, presidente dei giovani imprenditori di Confindustria, in questo senso suona tutt’altro che peregrina: «Inseriamo le quote digitali nei board, in modo che ci sia un digital champion in ogni CDA».

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