I media ci ricordano ogni giorno i grandi problemi del nostro tempo: l’economia che non riparte, la sovrappopolazione, l’esaurimento delle risorse naturali, i disastri ambientali. In questo scenario una domanda frequente e cruciale è: possiamo mantenere il ritmo d’innovazione tecnologica che ha così profondamente cambiato la vita quotidiana dal 1850 in poi? Secondo Joel Mokyr, storico dell’economia di fama mondiale, che ha recentemente tenuto una “lectio magistralis” al Politecnico di Milano, possiamo essere ottimisti: «Il progresso tecnologico è ben lontano dall’aver raggiunto un massimo».
Who's Who
Joel Mokyr
storico
Mokyr ha aperto il suo discorso, intitolato “The Future of innovation: are the good times over?”, riassumendo le due posizioni contrapposte.
«I tecnopessimisti, come Robert J. Gordon, dicono che i “low hanging fruits” dell’innovazione, cioè i “frutti” più facili da cogliere (acqua corrente, elettricità, aria condizionata, antibiotici) sono già stati colti, e le future invenzioni non avranno mai impatti cosi radicali come in passato. E non è solo: Peter Thiel ha detto “volevamo macchine volanti, e invece abbiamo avuto 140 caratteri”, riferendosi a Twitter, mentre l’Economist nel gennaio 2013 è uscito con un lungo servizio di copertina dal titolo “La macchina delle idee si è rotta?”.
Dall’altra parte ci sono gli iperottimisti («che forse sono anche peggio»), per i quali i progressi nell’elaborazione e nell’intelligenza artificiale possono aumentare la produttività in modo tale che lavoro e mente umana diventeranno superflui. «Ray Kurtzweil aggiunge che le macchine non solo saranno capaci di replicarsi, ma anche di automigliorarsi ricorsivamente, mentre Nordhaus sull’Economist ha detto che a questa velocità di evoluzione, l’IT prima o poi raggiungerà gli skill e l’intelligenza umana».
Rispetto a questi, Mokyr è su una linea pure ottimistica, ma molto più moderata e pragmatica: «Forse i low hanging fruit sono stati tutti colti, ma la funzione principale di scienza e tecnologia è fare scale sempre più alte per cogliere frutti più alti. E anche piantare nuovi alberi da cui cogliere frutti. E d’altra parte l’Intelligenza Artificiale e l’IT possono essere complementari all’intelligenza umana, ma non sostituirla: possono aiutarci a capire e dominare meglio la natura».
La competizione porta evoluzione: nessuno vuole rimanere indietro
Per una lettura davvero equilibrata, insiste Mokyr, il punto di vista dev’essere sul lungo periodo: «Quattro fattori hanno innescato la “useful knowledge”, quella miscela di scienza e tecnologia che ha creato le basi di un successo plurisecolare dell’Europa dall’Illuminismo in poi. E per me anche nel prossimo futuro possono prevalere su tutti gli elementi sfavorevoli, dalla sovrappopolazione all’esaurimento delle risorse naturali».Questi quattro fattori secondo Mokyr sono: competizione,“Artificial Revelation”, costi d’accesso,e incentivi per chi fa ricerca.
«Cominciamo dal primo punto: perché la competizione è importante? Dal punto di vista evolutivo il progresso avviene grazie alla selezione naturale, da quello economico la competizione facilita il progresso perché nessuno vuole rimanere indietro».
E in effetti la frammentazione politica e religiosa dell’Europa nel 1600 e 1700 fu una chiave del suo successo: l’Italia era il Paese più frammentato ed è stato il Paese leader. «Con gli strumenti di analisi odierni possiamo dire che le entità politiche dell’epoca incoraggiarono il progresso scientifico e tecnologico non per ragioni filantropiche, ma per stare al passo con gli stati confinanti. La competizione era anche interna agli stati, tra gruppi religiosi e città, ma anche tra diversi partiti in molte discipline- medicina, fisica, biologia, filosofia – perché le nuove scoperte generavano teorie e modelli alternativi tra cui si poteva scegliere».
Tutto questo ha generato scoperte e invenzioni rivoluzionarie di scienza e tecnologie, e quindi la Rivoluzione Industriale e la moderna crescita economica. Ma come si ricollega tutto questo allo scenario odierno? Anche oggi il mondo è più competitivo che mai. «La globalizzazione non impedisce che ci sia forte concorrenza tra diversi “blocchi” – USA, Europa, Cina, eccetera – con diverse culture che producono diverse forme di innovazione: gli americani sono forti in genetica, i tedeschi in chimica, gli israeliani nel software. Rispetto al passato, però, oggi un’invenzione fatta in un singolo posto si diffonde istantaneamente in tutto il mondo».
«Il digitale mi interessa per come aiuta la ricerca»
Il secondo fattore è quello che Mokyr chiama“Artificial Revelation”, cioè gli strumenti che amplificano i nostri sensi di esseri umani, permettendoci di osservare ed elaborare meglio, e quindi favorendo gli avanzamenti scientifici.
Nell’illuminismo c’è stato il “grande trio”: telescopio,microscopio, barometro. La pompa pneumatica di Boyle ha preparato il campo per il motore a vapore dimostrando l’esistenza del vuoto, poi ci sono stati tantissimi altri strumenti, come la Pila di Volta e il microscopio.
«Oggi è il turno del telescopio ELT con ottica adattativa, del microscopio STED usato per le nanotecnologie,del CRISPR nella genetica, con capacità di ridisegno di organismi ed eliminazione delle malattie praticamente illimitate. E ovviamente il computer: tutte le branche della scienza sono state trasformate dal computer, che ci permette ricerche, approfondimenti, elaborazioni e simulazioni prima impossibili». Parlando di rivoluzione digitale tutti si concentrano sugli effetti diretti su consumi e produttività, spiega l’economista, «ma a me importano soprattutto gli effetti indiretti di contributo alla ricerca scientifica».
Costi d’accesso alla conoscenza mai così bassi grazie all’ict
Il terzo fattore sono i costi d’accesso. «Da sempre un enorme problema della scienza è che certe conoscenze sono in possesso solo di alcuni.La teoria della relatività, se Einstein non l’avesse pubblicata, forse non sarebbe ancora patrimonio dell’umanità. Le equazioni di Schrodinger sono talmente complesse che solo 10mila persone circa nel mondo le possono capire».
Ma soprattutto l’accesso alla conoscenza è sempre stato costoso, in termini di ricerca, archiviazione e organizzazione delle informazioni(«l’Encyclopedie di Diderot, che è stata il “motore di ricerca” del Diciottesimo Secolo, era costosissima»). Eppure è fondamentale, perché per innovare e inventare occorre conoscere le più recenti scoperte disponibili. «Se sai cosa è già stato scoperto o inventato, non perdi tempo a riscoprirlo/reinventarlo e ci puoi “costruire sopra”. Inoltre la fortuna aiuta la mente preparata».
E oggi come siamo messi sui costi d’accesso?«Un grande merito dell’ICT è averli fortemente ridotti. Abbiamo Big Data, Open Data, e tecnologie di ricerca delle informazioni straordinariamente precise. Questo ha lati negativi – spie e pubblicità sanno tutto di noi – ma è un enorme aiuto per il progresso scientifico: qualunque ricercatore in pochi secondi ha accesso a enormi banche di conoscenza e dati e può confrontarsi con colleghi in ogni parte del mondo».
«La politica purtroppo non si è evoluta come la tecnologia»
Infine il quarto fattore, gli incentivi. «Gli economisti amano gli incentivi, ma la conoscenza non è monetizzabile come i beni fisici. Tra il ‘500 e il ‘700 si è trovato un modo per spingere le persone a fare ricerca e creare conoscenza: la fama. I migliori scienziati hanno potuto accedere a risorse e protezioni privilegiate, vedi Leonardo e Galileo».
E oggi? «Gli innovatori continuano a essere gratificati con fama e denaro, anche se poco rispetto ai benefici delle loro invenzioni. I brevetti sono un meccanismo abbastanza efficace, e premi come il Nobel danno notorietà mondiale e duratura».
Quando questi quattro fattori sono favorevoli, sottolinea Mokyr, scienza e tecnologia avanzano molto rapidamente di fronte a problemi ben definiti e urgenti che richiedono soluzioni immediate e fattibili con le tecnologie e conoscenze disponibili.
«All’epoca della Rivoluzione Industriale queste condizioni si sono verificate per cinque problemi allora universali: pompare acqua fuori dalle falde(la macchina a vapore è nata per questo), filare cotone di buona qualità in grandi quantità, temprare l’acciaio, combattere il vaiolo, e calcolare la longitudine, e quindi la posizione in mare. C’erano altri problemi, ma non c’erano tecnologie e presupposti, per esempio il volo aereo e l’elettricità arrivarono dopo»
Anche oggi ci sono problemi di portata paragonabile: riscaldamento globale, scarsità d’acqua, immagazzinamento e trasmissione dell’energia, invecchiamento e relative malattie e welfare, sovraccarico informativo. «Abbiamo l’esigenza di risolvere questi problemi e gli strumenti per provarci. Il più grande freno è la politica. Le istituzioni rallentano il progresso, cioè la soluzione di problemi che sarebbero risolvibili. Politica e istituzioni non sono evoluti come scienza e tecnologia rispetto al 1750. C’è uno squilibrio tra capacità politiche e scientifico-tecnologiche».
Fortunatamente, conclude Mokyr, con la globalizzazione basta che un problema sia risolto in un solo luogo ed è risolto dappertutto. «E comunque non finiremo come l’Impero Romano, non c’è il rischio di una stagnazione secolare, seguita da altri secoli di barbarie e caos. Il progresso tecnologico è ben lontano dall’aver raggiunto un massimo, e la crescita economica continuerà, anche se magari non sotto forma di crescita del PIL. L’era digitale rispetto all’era analogica sarà come l’era dell’acciaio rispetto a quella della pietra. E non possiamo neanche immaginare come sarà l’era post digitale, così come Archimede non poteva immaginare il CERN».
******
Chi è Joel Mokyr
Joel Mokyr è Professor of Arts and Sciences e Professor of Economics and History alla Northwestern University, dove insegna dal 1974, ma nel frattempo è stato anche Visiting Professor alle università di Harvard, Chicago, Stanford, Gerusalemme (Hebrew University), Tel Aviv, Manchester, e all’University College di Dublino. È specializzato in Storia dell’Economia e nei fondamentali economici dello sviluppo tecnologico e demografico. È autore di oltre 100 articoli e libri, tra cui “The Gifts of Athena: Historical Origins of the Knowledge Economy”, “The Enlightened Economy”, e “A Culture of Growth”, uscito da pochissimo (Princeton University Press, 2016). È stato editor in chief della Oxford Encyclopedia of Economic History (2003), ed è fellow della Econometric Society, e foreign fellow della Royal Dutch Academy of Sciences e dell’Accademia Nazionale dei Lincei a Roma.
Ha vinto molti premi, tra cui il Joseph Schumpeter Memorial Prize, il Ranki Prize per il miglior libro di storia economica europea, e l’anno scorso il Premio Internazionale Balzan per la storia economica.