Siamo ormai entrati a pieno titolo nell’era del cloud ibrido, e oggi più mai le soluzioni per il data center rivestono un ruolo decisivo per l’intera catena del valore costruita sulla raccolta, conservazione e analisi dei dati. A prescindere dal posizionamento e dagli obiettivi di business, infatti, poter contare su un’infrastruttura digitale resiliente, sicura, performante e – requisito sempre più indispensabile per presentarsi sul mercato – efficiente dal punto di vista energetico, è essenziale per non perdere il vantaggio competitivo.
«Si tratta di uno scenario che negli ultimi anni è cambiato drasticamente, a seguito di grandissimi impulsi che hanno impresso una forte accelerazione a una metamorfosi già in atto: sono aumentati i volumi di dati scambiati, sono emerse nuove esigenze per le aziende che vogliono remotizzare i loro network di elaborazione e, in generale, si è assistito a una discontinuità delle dinamiche tipiche del mercato italiano. È infatti successo qualcosa che non si era mai verificato prima: i grandi player internazionali – in passato spesso restii a operare in una regione contraddistinta da una certa lentezza nel percorrere la strada dell’innovazione, soprattutto a causa di carenze infrastrutturali – riconoscono che l’Italia oggi offre più opportunità di altri». A parlare è Andrea Faeti, Sales Director Enterprise Accounts per l’Italia di Vertiv, multinazionale specializzata nella progettazione e nella fornitura di soluzioni per le infrastrutture digitali critiche e per la business continuity.
Who's Who
Andrea Faeti
Sales Director Enterprise Accounts per l'Italia di Vertiv
I driver del cambiamento e le nuove esigenze delle imprese
Secondo Faeti, dal punto di vista della domanda sono due gli elementi che vale la pena di analizzare per comprendere le ragioni di questo repentino cambio di passo. Da una parte c’è un bisogno stringente di risparmio dei consumi energetici, dall’altra la necessità di poter fare affidamento su prodotti modulari standard, in grado di accompagnare l’evoluzione del business e al tempo stesso rendere sempre più veloce il time-to-market. «Per quanto riguarda il tema dei consumi di elettricità, sappiamo fin troppo bene che i data center sono strutture energivore. Secondo un sondaggio condotto dall’International Energy Agency, incidono per quasi l’1% sulla domanda globale di elettricità. Il controllo dei costi operativi, diventato prioritario per qualsiasi tipo di impresa, passa dunque anche da qui. A questo si aggiunge la crescente attenzione per il tema della sostenibilità ambientale, una tendenza trasversale, che riguarda sia le server farm degli hyperscaler sia i data center enterprise o i sistemi edge dedicati ad applicazioni che necessitano di latenze estremamente ridotte».
Impossibile poi non prendere in considerazione una serie di driver profondamente influenzati da chi fornisce i software, e dal rapporto costi/benefici che ciascuna organizzazione riscontra nell’adozione delle suite offerte in cloud. «Sia chiaro, quello dell’on-demand è un modello inarrestabile, e si dà per scontato che diverrà maggioritario. Ma allo stato attuale, così come esistono applicazioni che nascono per girare esclusivamente sul cloud, ci sono anche software che risultano incompatibili con quel tipo di architettura, specie per le organizzazioni di stampo enterprise che hanno bisogno di standard di riservatezza dei dati e latenza nelle comunicazioni che solo l’on-premise, ancora oggi, può garantire».
Faeti allude specialmente alle banche e alle imprese manifatturiere che stanno entrando nel mondo 4.0. «Queste ultime, in particolare, richiedono investimenti su tecnologie che si intrecciano col versante del 5G e che sono per questo incompatibili con un’implementazione cloud ‘tout court’. Serve piuttosto un approccio ibrido». Il cloud è d’altra parte un elemento indispensabile quando si parla di applicazioni che necessitano di grandi capacità di calcolo e di storage, a partire da quelle basate sull’intelligenza artificiale e sugli algoritmi di machine learning.
Si tratta quindi, come dovrebbe ormai essere evidente, di un panorama con ‘use case’ estremamente variegati, ma tutti caratterizzati dalla medesima necessità: il raggiungimento della massima efficienza di funzionamento di infrastrutture che, anche con una prospettiva di medio/lungo termine, devono risultare sufficientemente flessibili per integrarsi e adattarsi a eventuali nuove declinazioni d’uso. Lato offerta, per fortuna, le soluzioni non mancano.
«L’introduzione e la proliferazione dei sistemi di high performance computing ha senz’altro cambiato le carte in tavola da questo punto di vista, mettendo a disposizione delle imprese prodotti e servizi innovativi. Ma direi che, nel complesso, non possiamo ancora dire di essere entrati in un mercato del tutto maturo. Penso per esempio ai margini di crescita per chi sta provando a fare leva su una proposizione as-a-service: a pensarci bene è anomalo che un modello operativo di questo tipo non sia ancora molto diffuso, visto che si sposa benissimo con le esigenze di standardizzazione manifestate dalla domanda, oltre che col concetto stesso di data center».
Vertiv ha fatto suo questo approccio per accompagnare negli anni Telefónica in un percorso di graduale abbattimento dei consumi energetici delle infrastrutture che supportano i processi IT e TLC dell’operatore. «L’obiettivo era quello di dimezzare la spesa senza dover sostenere investimenti su nuove macchine e strutture», racconta Faeti. «Così abbiamo proposto una partnership basata sul concetto di energy saving as-a-service, un modello di servizio che va oltre il semplice noleggio, e che implica la condivisione del ritorno sul risparmio energetico tra Vertiv e Telefónica. Dopo aver effettuato un assessment dei siti esistenti, abbiamo stabilito con il cliente l’entità dell’investimento e il ritorno atteso dal progetto, avviando poi l’implementazione delle soluzioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi e supportando i sistemi attivati con cicli di upgrade e attività di manutenzione. Il tutto senza chiedere un euro sul piano del capex».
Cosa significa costruire un data center a basso impatto ambientale
Come accennato, quando si parla di data center il tema del risparmio energetico va di pari passo con quello della massimizzazione della sostenibilità ambientale delle operations. Da questo punto di vista, una strategia di successo dipende sostanzialmente dalla capacità di individuare soluzioni sempre più sostenibili per gestire l’alimentazione elettrica e soprattutto il calore prodotto negli ambienti che ospitano le macchine.
Il cambiamento del mercato è attualmente guidato dagli hyperscaler, che per il medio termine si sono posti l’obiettivo di diventare carbon neutral o addirittura carbon negative. «Solo in Europa, oltre 25 cloud provider e 17 associazioni di settore hanno siglato un accordo per utilizzare fonti di energia al 100% rinnovabile entro il 2030. I grandi player che non stanno solo facendo da traino per le tecnologie che supportano questi piani, ma hanno anche sviluppato una roadmap che è un riferimento per l’intero settore», rimarca Faeti. «Molti provider di servizi di colocation, per esempio, si stanno orientando verso attività a emissioni zero e ad alta efficienza idrica per capitalizzare la maggiore richiesta dei propri clienti».
Il tema, però, non è solo tecnologico: senza un’adeguata gestione delle risorse, attraverso sistemi di monitoraggio e controllo avanzati, le infrastrutture non riusciranno mai a raggiungere le performance ottimali. «Ma ancora non basta. Occorre anche un approccio ‘smart’, che permetta di abbattere anche i consumi energetici degli edifici e delle comunità che ospitano i data center», aggiunge il manager di Vertiv, che ha di recente introdotto in Emea Liebert XDU, una nuova generazione di sistemi di Thermal Management che supporta i server raffreddati a liquido, consentendo il controllo della qualità, del flusso e della temperatura del refrigerante. «Con l’aumento delle applicazioni ad alta densità, come quelle basate su data analytics e machine learning, le temperature dei rack superano le capacità di raffreddamento delle unità raffreddate ad aria e richiedono soluzioni più efficienti. Il sistema di raffreddamento Liebert XDU utilizza un circuito chiuso dell’acqua per evitare qualsiasi spreco ed è inoltre in grado di intercettare il calore prodotto dai server per riscaldare uffici, case o aziende agricole vicine». Liebert XDU utilizza controlli integrati di ultima generazione per variare la velocità dell’elettropompa per ottimizzare la temperatura dell’acqua di ritorno e per fornire un monitoraggio intelligente del rendimento. La soluzione, estremamente compatta, può essere collocata in corrispondenza del rack da raffreddare o lungo il perimetro della struttura.
Naturalmente, soluzioni del genere richiedono un approccio evolutivo del cliente. «È importante associare alla funzione service una componente progettuale», chiosa Faeti. «E in questo senso, con una struttura capillare che è un riferimento per il mercato italiano, Vertiv accompagna il cliente non solo nella fase di sviluppo e di implementazione, ma anche in quella di gestione del ciclo di vita del prodotto. Mantenere le infrastrutture ai livelli massimi di performance vuol dire prendere in considerazione sia i fattori per cui le prestazioni degradano sia l’introduzione di novità tecnologiche, che possono essere integrate con interventi di retrofit nelle soluzioni già installate. Il concetto di circolarità e sostenibilità, per Vertiv, passa anche dalla possibilità di sfruttare le opportunità offerte dalla tecnologia per conferire nuova vita al parco macchine esistente».