Occupazione e digitale

World Economic Forum: «Con Industry 4.0 a rischio il lavoro». Polimi: «Niente allarmi»

Al meeting di Davos tutti d’accordo: il digitale avrà sull’industria impatti simili all’energia elettrica. Secondo lo studio ‘Future Jobs’ 5 milioni di posti di lavoro saranno persi entro il 2020 in 15 grandi Paesi con l’avanzare dello Smart Manufacturing. Alessandro Perego (Politecnico di Milano): sono previsioni di breve periodo che non devono spaventare

Pubblicato il 20 Gen 2016

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Alessandro Perego, Politecnico di Milano

La quarta rivoluzione industriale è in corso. Non ci sono più dubbi: l’impatto che l’innovazione digitale sta avendo sulla società e sul business è paragonabile a quello innescato dalla scoperta della corrente elettrica. “La tecnologia è un catalizzatore, ma è necessario rivedere i processi e l’organizzazione. In fondo è una vecchia storia, accadde lo stesso con l’elettricità: ci sono voluti 30 anni perchè la transizione avvenisse”, ha ricordato Erik Brynjolfsson, Director, MIT Initiative on the Digital Economy, MIT – Sloan School of Management, intervenendo a uno dei dibattiti sul tema a Davos, dove top manager ed econonomisti si sono riuniti come ogni anno per discutere dei grandi temi dell’economia mondiale. La Digital Transformation è oggetto di uno studio dettagliato da parte del World Economic Forum
, che ha creato un gruppo di lavoro dedicato. Paul Daugherty, Chief Technology Officer di Accenture, ha ribadito che il clima è molto cambiato rispetto solo a due anni fa: “I leader non stanno più imparando, ma sono oggi impegnati a guidare la trasformazione delle loro aziende, creando una roadmap, per cogliere un’opportunità che è unica. E’ chiaro che l’impatto è enorme, riguarda il business e la società e questo è un punto fondamentale: è necessario guardare l’intero ecosistema e fare in modo che i vantaggi siano per tutti».

L’impatto occupazionale proccupa

Se il clima in generale è ottimistico, desta preoccupazione nel breve periodo l’impatto sull’occupazione in particolare dentro le fabbriche, il cosiddetto ‘Smart Manufacturing’ (si parla anche di Industry 4.0). L’innovazione digitale nei processi dell’industria, rappresenta la chiave per la competitività del futuro.

Ma se nel breve termine – come testimonia lo studio ‘Future Jobs‘ che prevede la perdita di cinque milioni di posti di lavoro entro il 2020 in 15 grandi Paesi – si possono prevedere saldi occupazionali negativi, nel medio-lungo termine non è assolutamente certa una contrazione degli occupati in numero assoluto, considerato anche l’impatto nell’indotto, in particolar modo nel terziario avanzato.

È l’analisi di Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano sul dibattito in corso al World Economic Forum di Davos, incentrato sulla quarta rivoluzione industriale. Di sicuro, assisteremo ad un’evoluzione delle forme attuali del lavoro, verso il digitale, ma il cambiamento che stiamo vivendo è da leggere in chiave positiva. Anche in Italia – che secondo la ricerca presentata al World economic forum dovrebbe uscire indenne nei prossimi 4 anni con un saldo pari a zero di 200mila posti di lavoro creati e cancellati – le imprese hanno iniziato a investire in tecnologie come Internet of Things, Big Data, Cloud computing, sistemi di produzione automatizzati, dispositivi wearable e nuove interfacce uomo/macchina o stampa 3D. Il nostro Paese però deve sapere cogliere a pieno i benefici della quarta rivoluzione industriale, attuando iniziative sistemiche per lo sviluppo dello Smart manufacturing e fornendo ai lavoratori le competenze digitali per le mansioni del futuro”.

Secondo l’esperto, “Le previsioni dello studio ‘Future Jobs’ del World Economic Forum fanno riflettere, ma non devono allarmarci oltre misura. Da diverso tempo ormai si levano voci ed interrogativi sull’impatto che la rivoluzione digitale avrà sui livelli occupazionali. Ma molti autori, Brynjolfsson & McAfee e Rifkin solo per citarne alcuni, e diversi documenti di analisi e di politica industriale nazionale, come il programma “Smart Industry” olandese, evidenziato che non ci sono basi empiriche per concludere che nel medio-lungo periodo l’occupazione complessiva si ridurrà. Dal punto di vista macro-economico, le tre rivoluzioni industriali precedenti (quella del vapore, dell’energia elettrica e della prima informatizzazione) non hanno segnato l’uscita definitiva dal mondo del lavoro di segmenti della popolazione, ma piuttosto un cambiamento nel concetto di lavoro, trovando un nuovo equilibrio nell’occupazione, tutela sociale, creazione e ridistribuzione della ricchezz. Dobbiamo guardare in positivo anche alla quarta rivoluzione industriale”.

Di certo molte mansioni tradizionali si stanno trasformando in nuove professioni ‘digitali’ e nel breve termine saldi occupazionali negativi sono prevedibili, considerando anche

l’estrema rapidità della rivoluzione digitale e la complessità di molte tecnologie. Per questa ragione, è fondamentale che le aziende e le istituzioni si concentrino su strumenti di riconversione e di reinserimento professionale, per formare i lavoratori alle competenze digitali necessarie ad affrontare questa evoluzione.

“Lo Smart Manufacturing in Italia conosce un buon fermento – conclude Alessandro Perego. La ricerca dell’Osservatorio Smart Manufacturing ha individuato oggi 135 applicazioni in ambiti molto diversi in 43 aziende manifatturiere. Ma, rispetto alla grande accelerazione a cui si assiste nel mondo, l’adozione nel nostro Paese appare ancora rallentata da fattori di contesto, culturali, organizzativi e dalla capacità di offerta. L’Italia, secondo Paese manifatturiero d’Europa deve adottare un programma nazionale dedicato allo Smart Manufacturing per affrontare al meglio la quarta rivoluzione industriale”.

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