AGROALIMENTARE

Filiera corta e tracciabilità, due nuove leve di business per l’agroalimentare



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Secondo l’Osservatorio Smart AgriFood della School of Management del Politecnico di Milano, i consumatori sono attratti dall’idea di utilizzare canali innovativi per acquistare prodotti sicuri e valorizzare il territorio. Ma oltre che sull’adozione delle tecnologie di frontiera, bisogna puntare sull’esperienza d’uso

Pubblicato il 10 ott 2024



Filiera corte digitale

La digitalizzazione della filiera corta costituisce già oggi un tassello importante nel contesto di una strategia che punta a rendere la catena del valore dell’AgriFood italiano sempre più efficiente e trasparente. Ma si rivelerà essenziale nei prossimi anni, quando diverrà imprescindibile soddisfare due bisogni emergenti tra larghe fasce dei consumatori: conoscere approfonditamente il cibo che si acquista e generare un impatto positivo sul territorio, valorizzando le produzioni locali e minimizzando le emissioni inquinanti.

Cosa si intende per filiera corta

La filiera corta è un modello di organizzazione economica e commerciale che si caratterizza per la riduzione del numero di intermediari tra il produttore agricolo e il consumatore finale. Questa configurazione consente di accorciare il percorso che i prodotti agroalimentari compiono dal luogo di produzione fino al punto di vendita, promuovendo un rapporto più diretto e trasparente tra chi coltiva o produce e chi acquista e consuma.

Pubblicata in Gazzetta Ufficiale, l’11 giugno del 2022 è stata approvata una legge che definisce i criteri per cui un prodotto può essere etichettato come “chilometro zero” o “filiera corta”. Questa normativa, Legge 17 maggio 2022, n. 61, mira a valorizzare e promuovere sia la domanda sia l’offerta di prodotti agricoli e alimentari locali, incoraggiandone il consumo e la commercializzazione. Inoltre, garantisce ai consumatori informazioni dettagliate sull’origine e le caratteristiche specifiche dei prodotti, come indicato nell’Articolo 1, comma 1.

Per quanto riguarda la definizione di “filiera corta”, i prodotti che rientrano in questa categoria devono raggiungere il consumatore finale passando attraverso un massimo di un intermediario. La legge promuove questi prodotti anche attraverso misure logistiche specifiche, come la riserva di almeno il 30% delle aree destinate ai mercati per questi beni. Inoltre, sono previsti spazi adeguati alla pesca, situati vicino ai punti di sbarco.

Nella filiera corta, i canali di distribuzione sono semplificati e spesso si basano su mercati locali, negozi di prossimità, gruppi di acquisto solidale, vendite dirette in azienda o, più recentemente, piattaforme online che mettono in contatto diretto produttori e consumatori. Questo modello si contrappone alla filiera lunga, dove i prodotti passano attraverso molteplici intermediari, come grossisti, distributori e dettaglianti, prima di arrivare al consumatore finale.

Uno degli aspetti fondamentali della filiera corta è la valorizzazione della produzione locale e stagionale, che non solo riduce l’impatto ambientale legato al trasporto e alla conservazione dei prodotti, ma favorisce anche il mantenimento delle tradizioni agricole e alimentari del territorio. Inoltre, la filiera corta può contribuire a migliorare la redditività degli agricoltori, che possono ottenere un prezzo più equo per i loro prodotti, e a offrire ai consumatori alimenti più freschi e di qualità superiore.

Differenza tra “chilometro zero” e “filiera corta”

La differenza tra “chilometro zero” e “filiera corta” risiede principalmente nell’enfasi posta sulla distanza fisica e sulla struttura della distribuzione.

Il termine chilometro zero si riferisce principalmente alla distanza fisica che un prodotto agroalimentare percorre dal luogo di produzione al punto di vendita o consumo: un prodotto a chilometro zero è coltivato, prodotto e venduto nella stessa area geografica, spesso entro un raggio di pochi chilometri. L’obiettivo principale è minimizzare l’impatto ambientale derivante dal trasporto, riducendo le emissioni di CO2 e l’utilizzo di risorse per la conservazione e la logistica. Il concetto di chilometro zero enfatizza la sostenibilità ambientale e la freschezza dei prodotti, promuovendo il consumo di alimenti locali e di stagione.

Al contrario, la filiera corta si concentra sulla riduzione del numero di intermediari tra il produttore e il consumatore finale. Non implica necessariamente una distanza fisica minima, ma piuttosto un percorso commerciale semplificato. Può includere anche vendite dirette dal produttore al consumatore, come mercati contadini, negozi di fattoria, gruppi di acquisto solidale e piattaforme online. La filiera corta è orientata non solo alla sostenibilità ambientale, ma anche all’equità economica, garantendo prezzi più equi per i produttori e trasparenza per i consumatori.

Cresce l’attenzione sulla tracciabilità alimentare

In uno scenario in rapida evoluzione, e che vede l’ingresso continuo di nuovi player, una cosa è certa: i consumatori sono sempre più consapevoli dei temi legati alla tracciabilità alimentare e degli impatti positivi di una Supply Chain integrata, ma questo non implica che debbano conoscere anche le tecnologie sottostanti ai sistemi che migliorano la trasparenza delle filiere corte. In altre parole, gli attori disposti a giocare la carta della digitalizzazione, prima ancora di sottolineare la bontà di una determinata scelta tecnologica, dovranno garantire un certo grado di prossimità anche sul piano relazionale. Questo significa creare esperienze d’uso che favoriscano interazioni dirette e durature, oltre che di valore, rispetto alla condivisione delle informazioni sui prodotti.

e aumenta l’uso di tecnologie digitali

Nel 2023, l’Italia ha assistito a un notevole incremento nell’offerta di soluzioni digitali per la tracciabilità alimentare, registrando un totale di 225 soluzioni, con un aumento del 22% rispetto all’anno precedente. Questa crescita è principalmente motivata dalla necessità delle aziende di garantire al consumatore finale informazioni dirette e trasparenti sulla qualità, l’origine e i metodi produttivi degli alimenti che acquistano.

Il legame tra tracciabilità e sostenibilità si sta intensificando, rendendo la tracciabilità un elemento chiave per avvicinare i consumatori e valorizzare le produzioni locali. Le soluzioni digitali disponibili permettono di digitalizzare le diverse fasi del processo di tracciabilità, grazie a tecnologie come l’Internet of Things (23%), le applicazioni mobili (23%), il Cloud (20%) e le tecnologie Blockchain e Distributed Ledger (17%).

La maggior parte di queste soluzioni è applicabile trasversalmente a più settori, ma si nota un incremento delle soluzioni specifiche per il settore agricolo. Queste includono componenti orientate alla valorizzazione dei dati raccolti dal campo, dalle pratiche agricole e dai macchinari. L’obiettivo è rispondere alla crescente esigenza di un’integrazione efficace dei dati lungo l’intera filiera, dal campo alla tavola. In questo modo, le soluzioni digitali per la tracciabilità non solo migliorano la trasparenza per i consumatori, ma contribuiscono anche a rendere più sostenibile e responsabile l’intero processo produttivo.

È sostanzialmente questa la fotografia scattata dall’Osservatorio Smart AgriFood della School del Politecnico di Milano, che ha esaminato con una ricerca ad hoc la prospettiva dei consumatori sul tema dell’innovazione digitale per la tracciabilità alimentare nella filiera corta.

«Nell’ultimo anno temperature primaverili sotto la media, ondate di calore estive, eventi alluvionali estremi hanno messo a dura prova il settore agricolo – spiega Chiara Corbo, Direttrice dell’Osservatorio Smart AgriFood -. In questo contesto, l’innovazione digitale ha continuato a dimostrare il suo ruolo nel rendere più sostenibile, efficiente e competitivo il settore. Abbiamo analizzato diversi casi che lo dimostrano: per esempio, le soluzioni di irrigazione di precisione possono consentire di meglio stimare le esigenze irrigue delle colture aumentando le rese, come si è verificato in un caso in Portogallo dove le rese del mais sono aumentate quasi del 30%. Oppure l’utilizzo dei DSS può consentire di impiegare in maniera più razionale gli input tecnici: in un’applicazione in vigneto in Italia, ad esempio, il risparmio di agrofarmaci è stato del 35% circa».

Tra le informazioni di cui gli italiani sono più “affamati” ci sono la provenienza delle materie prime (il 64% del campione la giudica estremamente importante), l’italianità del marchio (59%), il marchio di qualità (56%) e la sostenibilità del prodotto (55%) soprattutto per quanto riguarda le carni (78%), il pesce (54%) e l’ortofrutta (50%).

Se l’88% dei consumatori è interessato alla tracciabilità alimentare, il 53% cerca spesso informazioni al riguardo, e questo sostanzialmente a prescindere dal titolo di studio conseguito.

Il 24% dei consumatori italiani si avvale di strumenti digitali per ottenere queste informazioni, sfruttando il più delle volte il sito Internet del produttore (22%), i social network o le piattaforme di terzi (13%), il QR code stampato sull’etichetta (13%) e i profili social del produttore (13%).

La frequenza del tipo di canale utilizzato è inversamente proporzionale alla sua complessità di utilizzo, ma riflette pure la diffusione della piattaforma tecnologica adoperata, come nel caso della già citata Blockchain.

Come ha sottolineato Andrea Bacchetti, Direttore dell’Osservatorio Smart AgriFood: «Chi storicamente ha già investito nel digitale per l’agrifood raggiunge risultati positivi e quindi prosegue ad investire in maniera ancora più intensa, ma nuove aziende faticano a fare il primo passo. Per garantire la diffusione capillare delle soluzioni digitali in questo settore sarà sempre più importante lavorare sulle competenze. Serviranno, soprattutto in ambito agricolo, più conoscenze tecniche legate alle nuove tecnologie digitali, ma anche nuove figure professionali, che sappiano avvicinare le aziende della domanda e i provider tecnologici, comprendendo fabbisogni, problematiche e obiettivi delle aziende del settore e guidandole nel processo di digitalizzazione»,

Filiera corta, i casi apripista e le prospettive per il futuro

In Lombardia, la sperimentazione è guidata dalla Direzione generale Ricerca e Innovazione in partnership con la Direzione generale Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi e di quella Welfare della Regione. Grazie alla collaborazione delle Ats della Montagna e della Val Padana sono state identificate e coinvolte attivamente due Supply Chain: quella del Latte Fresco di Montagna Alta Qualità della Latteria Sociale Valtellina e quella della carne rossa del Consorzio Lombardo Produttori Carne Bovina.

In Abruzzo, si punta a creare una vera e propria storia di filiera: il consumatore potrà conoscere, attraverso contenuti multimediali, il prodotto, l’azienda e il territorio di origine. Con la collaborazione dei consorzi di tutela dei prodotti Dop e Igp abruzzesi (olio, vino, patate e carote del Fucino) è prevista la creazione di un sistema in grado di garantire la provenienza dei prodotti locali tramite la tecnologia Blockchain.

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