Spesso il cambiamento spaventa. Nella vita personale come in quella professionale facciamo scelte radicali solo quando siamo veramente costretti. Questo succede anche nel mondo dell’IT che, invece, per sua natura cambia ed evolve molto rapidamente. Non di rado si vedono le organizzazioni IT, che per decisione dei loro leader, i CIO, puntano a mantenere lo status quo, anche se il mondo intorno a loro sta cambiando.
La contrazione dei budget e i rischi di modificare radicalmente il modo in cui le loro strutture hanno lavorato fino a oggi, sono i principali ostacoli al cambiamento per i CIO. Il concetto di “non sarai licenziato per aver rinnovato il contratto con il tuo vendor storico”, descrive in modo gentile l’attitudine al rischio quando vengono prese decisioni in area IT.
Se si aggiunge il fatto che, mediamente, i CIO restano in azienda per 3-5 anni, un tempo che può non essere sufficiente per gestire un processo di trasformazione a lungo termine e vederne i benefici, si capisce come mai molti dei dipartimenti IT vivano una profonda inerzia rispetto al cambiamento.
Tuttavia l’attuale evoluzione del mercato sta creando le condizioni per cui il cambiamento diventa imprescindibile. Il rischio è, per l’IT e il CIO, di diventare irrilevanti all’interno delle aziende ,e a tendere, addirittura di sparire.
Perché questo cambiamento sta avvenendo ora?
I driver che impongono questo cambiamento sono diversi.
In primis, la digitalizzazione del business, che procede a ritmo sostenuto e rende indispensabile confrontarsi con la tecnologia. Le aziende parlano di analisi predittive (o addirittura prescrittive), di innovare in modo agile, di offrire esperienze personalizzate ai clienti e di prevedere le loro azioni per influenzarle. La tecnologia diventa sempre più abilitatore del business e assume un ruolo determinante nei processi di innovazione aziendale.
Parallelamente a questo fenomeno, il numero delle applicazioni aziendali è cresciuto esponenzialmente e spesso in modo disordinato all’interno dell’azienda, con costi di gestione e mantenimento che sono diventati inconciliabili con il contenimento dei budget.
Inoltre, il progresso tecnologico, che da un lato abilita il business, sta creando anche le condizioni per imporre nuovi modelli della gestione dell’IT in azienda, facendo leva in maniera sempre maggiore sul software, che diventa chiave anche nei datacenter.
Le strutture IT e i CIO sono spesso in difficoltà in questo contesto. In una survey condotta da Information Week, solo il 33% dei responsabili delle unità di business delle aziende intervistate dichiara di percepire l’IT interno come un innovatore in azienda.
In un mondo guidato dall’economia del Cloud e da modalità di sviluppo contrassegnate dall’agilità, con dati in digitale che raddoppiano ogni due anni, le aziende stanno tentando di trovare la giusta combinazione tra infrastrutture ad alte prestazioni e le cosiddette commodity di livello enterprise – o ‘Cloud ibrido di livello enterprise’.
Proprio come la virtualizzazione ha segnato l’inizio di una graduale, ma inesorabile, tendenza a una ri-architettura delle risorse di calcolo, così il software-defined data center sta ora segnando un importante shift.
Anche i CIO più riluttanti al cambiamento si accorgono che lo status quo non è più sostenibile e che va intrapresa la strada di una trasformazione radicale.
Tre passi verso la ridefizione del software-defined
Fatto il passaggio mentale per intraprendere la trasformazione del modello di funzionamento dell’IT, quali sono i passi che un CIO deve fare per cambiare minimizzando i rischi?
La risposta è abbastanza articolata, ma può essere riassunta in tre punti principali.
1. Avere una fotografia esatta dell’ambiente IT: spesso manca all’IT una vista d’insieme sulla disponibilità e sull’utilizzo delle proprie risorse. Ad esempio, quando è richiesto di implementare applicazioni multi-tenant globali in un ambiente Cloud privato, spesso l’IT non ha una chiara idea delle risorse su cui può contare: non sa come e dove sono utilizzate, perchè le applicazioni condividono risorse su più host fisici ed è difficile monitorare il loro livello di consumo. Oggi, tuttavia, sono disponibili software di gestione dell’infrastruttura che rendono più chiaro il quadro dell’ambiente, del suo utilizzo e che facilitano la gestione delle risorse e la loro allocazione sulla applicazioni.
2. Ottimizzare le risorse e la loro allocazione: una volta che il CIO ha chiaro come sono mappate le applicazioni, è in grado di prendere decisioni su come ottimizzarle. Da un lato, il portafoglio stesso delle applicazioni deve essere rivisto, per capire quali possono essere trasformate lavorando con modelli di impiego più agili, quali possono essere dismesse e quali devono essere completamente riscritte. Dall’altro, anche la parte infrastrutturale, tradizionalmente sovradimensionata per garantirne la disponibilità delle applicazioni, ha ampi spazi di miglioramento. La virtualizzazione dell’infrastruttura interna rappresenta il primo livello di ottimizzazione. Tuttavia oggi il potenziale di flessibilità è aumentato da nuove soluzioni, come risorse Cloud flessibili e “hyperscale”, software SAN (Storage Area Network) che capitalizzano sull’hardware “commodity”, e piattaforme di orchestrazione che permettono di fare leva in modo sicuro e controllato su risorse di Cloud pubblico.
3. Automatizzare per muoversi verso un modello di “IT as a Service” (ITaaS): in un mondo in cui i tempi di deployment delle applicazioni si accorciano notevolmente, è essenziale che le aziende possano contare su un’infrastruttura notevolmente più veloce e agile rispetto al passato. E se questo è un tema di facile risoluzione per una start-up che non ha vincoli di tipo legacy, la questione si fa più complessa per le aziende che devono implementare al proprio interno questa agilità e flessibilità. Questa è anche la chiave che permette al CIO di riportare sotto il proprio controllo quei rivoli di IT acquistati in modo indipendente dalle linee di business. L’ITaaS è il passaggio finale di questa trasformazione, un modello che permette all’IT interno di presentare alle linee di business un catalogo semplice e facilmente fruibile di servizi, con una visibilità chiara dei costi associati e un’allocazione delle risorse pressoché immediata. Questa semplicità verso l’utente finale è il frutto di una gestione avanzata di tutte le risorse in capo al CIO, sia interne che esterne, sono governate da uno strato di software che crea il cosiddetto Software Defined Data Center. Questo cambio di paradigma deve essere naturalmente associato anche a un cambio organizzativo forte. I CIO, per implementare in modo efficace l’ITaaS, devono trasformare le loro organizzazioni per rimuovere i silos interni (storage, compute, network) e creare responsabili del servizio end to end in grado di relazionarsi direttamente con i loro clienti interni e con eventuali provider esterni.
Come in tutti i cambiamenti, è necessario un atto volontario per cominciare a trasformarsi. E in questa trasformazione il CIO deve essere il leader che guida il cambiamento. In fondo, la maggior parte dei CIO sa già che lo status quo non può essere mantenuto e che la rivoluzione software defined va affrontata. Questo passaggio sarà l’unico modo per riguadagnare il ruolo di innovatore al’interno dell’azienda e ridiventare il centro della trasformazione digitale dell’azienda .