L’idea che riciclare e riutilizzare sia una “cosa buona” è ormai entrata nel nostro DNA. La raccolta differenziata si insegna ai bambini della scuola materna e l’importanza di preservare le risorse naturali del nostro pianeta è, quantomeno nei Paesi più avanzati, una questione che ha pesanti riflessi sia dal punto di vista legislativo che economico.
In questo contesto, la concezione tradizionale del ciclo di vita dei beni (ideare, produrre, vendere e smaltire) è ormai insostenibile, dato che si basa sul principio che sia possibile accedere con facilità a una grande quantità di risorse. Ma le fonti energetiche non rinnovabili, come il petrolio, inquinano e costano sempre più mentre quelle rinnovabili (eolico, fotovoltaico…) non sono ancora in grado di sostenere l’impiego nella produzione industriale di massa. Lavorare verso la massima efficienza – ovvero una riduzione delle risorse e dell’energia proveniente da fonti non rinnovabili consumata per ciascuna unità prodotta – è, ormai, una necessità.
Le radici dell’Economia Circolare
È dagli anni Settanta che nelle università statunitensi si cerca di capire come trasformare i rifiuti in qualcosa di utile secondo modalità che siano economicamente non solo sostenibili ma, addirittura, vantaggiose. Alcune teorie produttive di quell’epoca, quali lo “sviluppo rigenerativo” o “dalla culla alla culla”, costituiscono i principi di quella che oggi viene definita dai più come “economia circolare” (Si veda in fondo all’articolo il paragrafo: I cardini della circular economy).
Nell’economia circolare il principio base è che ciò che normalmente si getta nei rifiuti possa essere, in realtà, trasformato in qualcos’altro di utile. Che possa, insomma, anziché inquinare contribuire a creare ricchezza perché progettato per erogare il massimo valore aggiunto lungo tutte le fasi del suo ciclo vitale.
Allo stato attuale delle cose, per esempio, nella sola Europa il 31% del cibo si perde, senza essere consumato, lungo la catena produzione-distribuzione, mentre le automobili rimangono parcheggiate per il 92% del tempo e gli uffici sono aperti in una percentuale variabile dal 35 al 50% dell’anno. A livello europeo si sta cercando di risolvere il problema dello spreco di cibo incentivando agricoltura, allevamento e pesca sostenibili e scoraggiando le forme intensive di sfruttamento delle risorse naturali. Con il trasporto multimodale (combinato) e il car sharing si tenta di ridurre traffico ed emissioni nocive. Infine, con il co-working e la progettazione modulare dei nuovi edifici si prova a ottimizzare l’utilizzo degli spazi lavorativi. C’è, quindi, margine per trasformare il sottoutilizzo delle risorse in valore economico.
I report più importanti sull’economia circolare si devono alla’ssociazione Ellen MacArtur Foundation, nata nel 2010, che, con l’ausilio di diverse analisi di McKinsey&Co, ha creato un vero e proprio impianto di principi e regole in grado di aiutare le organizzazioni nella transizione verso la circular economy. I numerosi business case e le testimonianze di aziende quali DHL, Ikea e H&M hanno contribuito ad attirare l’attenzione di numerosi governi (Stati Uniti e Francia in primis) e multinazionali (The Coca-Cola Company, tanto per citarne una) sulle potenzialità dell’adozione massiccia di un approccio produttivo cloosed loop (circolare). Partner dell’associazione sono aziende del calibro di Cisco, Kingfisher, Philips, Renault e Unilever.
Una nuova prospettiva: fornitori di servizi fondati sull’utilizzo dei propri prodotti
L’esperienza delle aziende che hanno già sperimentato la circular economy evidenzia un netto risparmio sui costi delle materie impiegate nella produzione.
Spinta dall’avvento di nuove tecnologie di progettazione, più eco-friendly e orientate al riutilizzo, da migliorati modelli di riciclo, da nuovi contratti di proprietà di macchinari e strumenti (che promuovono il riuso) nonché da normative ambientali sempre più severe, la circular economy si fonda sull’ottimizzazione dei diversi “sistemi” che compongono l’azienda. Questo significa, in concreto, migliorare tutto il flusso dei materiali in transito che, secondo la distinzione operata da chi promuove l’economia circolare, si distinguono in due tipologie: componenti biologici (progettati per rientrare in modo sicuro nella biosfera) e componenti tecnici (pensati per massimizzare il proprio ciclo di vita senza rientrare nella biosfera). Occorre, quindi, distinguere nettamente tra il consumo e l’utilizzo dei materiali.
Secondo i fondamenti dell’economia closed loop tutte le aziende, siano esse produttori o rivenditori, dovrebbero agire come fornitori di servizi fondati sull’utilizzo dei propri prodotti (servizi funzionali), dei quali mantengono però la proprietà. Un cambiamento di prospettiva che ha implicazioni dirette sull’attività e gli obiettivi dell’azienda. Occorre, infatti, sviluppare sistemi di recupero del bene/servizio efficaci ed efficienti, aumentare la durata del ciclo di vita dei prodotti, facilitarne la manutenzione e, nel caso, prendere in considerazione l’idea di predisporre dei turni per la fruizione del prodotto/servizio.
Le ripercussioni “a cascata”
Nella circular economy, quindi, il rifiuto in quanto tale non esiste perché i materiali contenuti in un prodotto sono progettati nativamente per poter essere smontati, rimontati, riposizionati all’interno di nuovi prodotti, destinati a nuovi scopi.
Per i materiali biologici, l’essenza del business risiede nella possibilità di ricavare ulteriore valore dai residui di una lavorazione, “in cascata”, attraverso nuove applicazioni. La produzione di caffè, per esempio, genera 12 milioni di tonnellate di rifiuti organici ogni anno. Questi scarti potrebbero essere utilizzati per sostituire quelli del legno tradizionalmente utilizzati come fertilizzante nella coltivazione dei prelibati funghi tropicali. I residui del caffè, infatti, sono una sorta di super-concime che permette di ridurre notevolmente i tempi di maturazione del fungo. Ancora, lo scarto di quest’ultima lavorazione potrà essere reimpiegato come mangime per il bestiame, in quanto contiene preziosi enzimi, e potrà essere restituito al terreno sotto forma di letame al termine del ciclo.
I polimeri, le leghe e gli altri materiali artificiali saranno, invece, riutilizzabili con il minimo dispendio di energia e la massima resa grazie alla loro modularità e versatilità d’uso. The Coca-Cola Enterprise (che imbottiglia e distribuisce la nota bevanda gassata), per esempio, ha da tempo sposato l’approccio dell’economia circolare per massimizzare il valore della plastica utilizzata nella produzione delle sue bottiglie. Attraverso interventi mirati lungo tutta la filiera del packaging (sviluppo, materiali, riciclo…) la società ipotizza di arrivare all’obiettivo di ridurre del 25% la materia prima impiegata nelle proprie bottiglie di PET entro il 2020.
*********I cardini della circular economy************
L’economia circolare fa perno sulla progettazione intelligente di beni e servizi, con il fine di assicurare che tutti i componenti, le modalità di erogazione e trasporto, così come gli imballaggi siano in grado di garantire, in ogni momento del loro ciclo di vita, la massima utilità e il più alto valore economico. Si fonda su alcuni principi:
- Si tratta di un modello economico globale che disaccoppia la crescita e lo sviluppo economico dal consumo di risorse limitate.
- Distingue nettamente tra materiali tecnici (prodotti industriali) e biologici (cibo e, in generale, prodotti naturali).
- Si focalizza sullo sviluppo e l’utilizzo di materiali che concretamente non contribuiscano a depauperare le risorse naturali ma, anzi, permettano di mantenerle e, per quanto possibile, farle prosperare.
- Fornisce nuove opportunità di innovare in ambiti quali lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi oppure la revisione dei modelli di business nel settore agroalimentare.
- Definisce i principi base per costruire un sistema economico ed ecologico in grado di durare nel tempo.
*********Una piattaforma per collaborare************
Circular Economy 100 è una piattaforma online che si pone come punto d’incontro tra aziende, innovatori e paesi emergenti che intendano accelerare la transizione verso un’economia circolare. Consente, infatti, di mettere a fattor comune le esperienze di chi ha già imboccato la strada verso un’economia più “green”, fornendo tre livelli di supporto:
- La creazione di un meccanismo collettivo per la soluzione dei problemi individuali.
- La costruzione di un repository di “buone abitudini” (best practice) che forniscano una guida utile per accelerare il successo delle iniziative legate all’economia circolare presso le aziende.
- La generazione di un meccanismo scalabile che permetta lo sviluppo di competenze e funzionalità legate al circolo economico virtuoso all’interno delle aziende.