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Il digitale riduce i rischi finanziari di filiera, e agevola il credito ai fornitori

Oggi la salute economica di un operatore può impattare su tutti i componenti della rete di fornitura. E in Italia il capitale c’è, ma per le imprese (soprattutto PMI) è difficile accedervi. Un aiuto viene dal Supply Chain Finance, soluzioni per finanziare il capitale circolante in funzione del ruolo ricoperto nella filiera. Il nuovo report dell’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano

Pubblicato il 24 Mar 2015

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In un mondo manifatturiero sempre più interconnesso non si può più fare a meno di monitorare con attenzione lo stato di salute finanziaria dei propri fornitori, per evitare impatti pericolosi sull’operatività, ma anche per migliorare la qualità della proposizione complessiva della supply chain. Questo il concetto su cui la School of Management del Politecnico di Milano ha creato l’Osservatorio Supply Chain Finance, di cui oggi è stato presentato il secondo report annuale.

«Il paradosso è che adesso la disponibilità di capitale c’è, e per giunta a tassi bassi, ma d’altra parte permane una grande difficoltà delle imprese (soprattutto PMI) ad accedervi – ha detto Alessandro Perego, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Supply Chain Finance, aprendo il convegno di presentazione del report presso Assolombarda a Milano -. Il mercato è molto imperfetto: c’è difficoltà da parte di chi eroga di valutare bene il rischio, poi la stessa gestione dell’erogazione del credito è costosa e non tempestiva, e infine c’è disallineamento tra esigenze delle imprese (tempi, garanzie, condizioni) e offerta».

In una situazione del genere un aiuto viene dal Supply Chain Finance (SCF), definito dall’Osservatorio come insieme di soluzioni e servizi che consentono a un’impresa di finanziare il proprio capitale circolante facendo leva non solo sulle sue specifiche caratteristiche economiche, finanziarie o di business, ma anche sul ruolo ricoperto all’interno della filiera.

Un mercato in grande fermento a livello globale – come dimostrano le 101 startup finanziate nel mondo – che nel nostro Paese inizia a muovere i primi passi, anche se l’Osservatorio ha censito 509 fornitori di SCF già attivi in Italia. Lo stimolo di monitorare e contenere il capitale circolante è ampiamente diffuso, ma le aziende italiane guardano alle soluzioni SCF in modo ancora poco consapevole. L’esigenza appare latente e non ancora supportata in modo esaustivo dall’offerta, prevalentemente tradizionale e poco incline a cogliere le opportunità della digitalizzazione, che è fondamentale. Il potenziale di sviluppo appare molto alto e la Supply Chain rappresenta un tesoro informativo ancora tutto da esplorare per la valutazione del merito creditizio: intercettare i dati strutturati della filiera potrebbe favorire l’accesso al credito delle imprese.

Come accennato, un elemento cardine dei modelli più innovativi di SCF è il ricorso alle tecnologie digitali, che consentono l’estensione di servizi complessi anche alle PMI gestendo in modo più rapido – e in numero superiore – clienti, documenti e informazioni per attivare le soluzioni di finanziamento e per migliorare la sensibilità sulla rischiosità.

«Il Supply Chain Finance – spiega Stefano Ronchi, Co-Responsabile scientifico dell’Osservatorio – offre opportunità alle grandi imprese per sviluppare nuove strategie di filiera, alle PMI per supportare la crescita di eccellenze produttive, alle istituzioni finanziarie per tornare a svolgere il ruolo di promotore dello sviluppo e ai provider B2b per valorizzare il patrimonio delle informazioni che gestiscono, stimolando nel contempo l’innovazione digitale nelle relazioni di business».

Dei 509 fornitori attivi nel nostro Paese, il 90% è di matrice o casa madre italiana, il restante 10% è internazionale. Inoltre ben il 93% sono intermediari finanziari (in maggioranza banche), mentre il restante 7% è composto da specialisti di collaborazione digitale B2B, “pure player” di SCF o operatori logistici.

La gran parte delle soluzioni disponibili in Italia (85%) è di carattere finanziario con un impatto su crediti e debiti di matrice tradizionale, come ad esempio l’Anticipo Fattura o il Factoring. Solo l’8% è invece di stampo finanziario-innovativo, come ad esempio il Dynamic Discount (il cliente, tramite una piattaforma IT, propone al fornitore un pagamento anticipato in cambio di uno sconto proporzionale ai giorni di anticipo), o l’Invoice Auction (aste per aprire a terzi il finanziamento delle fatture emesse, una sorta di anticipo fattura in cui finanziatori diversi offrono valori crescenti per aggiudicarsi l’incasso di quella fattura, anticipando al fornitore quanto promesso in asta) o il Reverse Factoring Evoluto (che sfrutta la Fatturazione Elettronica e le piattaforme cloud per un anticipo fatture flessibile riducendo rischi e costi dell’operazione). Infine, il 4% degli operatori italiani offre soluzioni di ottimizzazione delle scorte attraverso relazioni collaborative nelle Supply Chain.

Fa ben sperare però l’aumento della diffusione del Reverse Factoring in Italia che, come misurato da Assifact, è cresciuto in modo prepotente nella seconda metà del 2014. Ed è interessante che gli intermediari finanziari, sebbene ancora in percentuale limitata, inizino ad affiancare ai servizi finanziari tradizionali quelli più innovativi.

I tre difetti dei metodi di rating

Le regole di Basilea concentrano l’attenzione sui metodi di valutazione del rating/merito creditizio per tutelare le banche da esposizioni eccessive, ma i sistemi più diffusi presentano evidenti debolezze: viene data troppa importanza ai dati di bilancio, per definizione vecchi e statici; la componente qualitativa è spesso carente, debole e poco rappresentativa; la valutazione dei dati di andamento è limitata alla singola parte delle relazioni che definiscono lo stato di salute di un’organizzazione, ovvero quella delle banche.

«C’è l’esigenza di delineare modelli migliori per la valutazione del merito creditizio, che includano, oltre alle informazioni già attualmente valutate dalle banche, anche tipiche variabili operative di Supply Chain – spiega Paolo Catti, Responsabile della Ricerca dell’Osservatorio Supply Chain Finance -. Di fronte all’incertezza informativa dei modelli attuali, piuttosto che restringere il campo guardando solo a pochi dati sicuri, può essere preferibile inquadrare l’impresa all’interno della sua filiera, esaminando le relazioni in essere e come si sviluppano nel tempo. Utilizzare questa mole di dati strutturati può favorire l’accesso al credito a condizioni più consapevoli e quindi più interessanti per le imprese, limitando il costo operativo per gli intermediari finanziari».

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