45,6 miliardi dei 196 previsti per il ‘Piano nazionale di ripresa e resilienza’ saranno destinati a progetti di digitalizzazione, innovazione e competitività, questo secondo la bozza del Recovery Plan presentata dal Consiglio dei Ministri a inizio mese, e la PA digitale potrebbe finalmente fare un balzo avanti. Se sarà questa la cifra esatta ancora non è dato sapere, certo è che si tratta di un importo davvero imponente che, se ben sfruttato, potrebbe davvero rivoluzionare il futuro del nostro Paese consegnandolo alla ‘next generation’ più interconnesso e tecnologicamente avanzato, in grado di affrontare le sfide di una società globalizzata.
In questa ripartenza un ruolo di primo piano andrà alla Pubblica Amministrazione. “Dopo il ruolo cruciale avuto nella gestione dell’emergenza sanitaria ed economica, la PA ora è chiamata a essere uno degli attori chiave nel rilancio del Paese, non limitandosi a ridistribuire in modo assistenziale le risorse a disposizione, ma giocando un ruolo da ‘regista’ della trasformazione digitale – dice Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation del Polimi –. Per rendere sistemico quanto fatto in questi mesi e non vanificare le tante risorse disponibili per la ripresa, la PA deve innovare innanzitutto sé stessa ed essere in grado di coinvolgere cittadini e imprese, dotandosi di regole chiare per favorire l’innovazione, sostenendo la crescita del mercato di soluzioni digitali, sviluppando progetti per il bene comune su cui allocare correttamente le risorse, in costante interazione con il mercato e nel rispetto dei relativi ruoli”.
Su dove siamo e dove potremmo arrivare intraprendendo con competenza e capacità la rivoluzione digitale se n’è parlato al convegno online Abilitare l’Italia digitale: la buona regia per ripartire organizzato dall’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano.
Digitalizzazione: Italia 25esima in Europa secondo il DESI
Certo, la strada da percorrere è tutta in salita considerando che secondo il Digital Economy and Society Index (DESI) l’Italia è al quart’ultimo posto in Europa per livello di digitalizzazione davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria, e ben lontana da Paesi simili come Francia, Germania, Regno Unito e Spagna. Tuttavia, se nei livelli di connettività e digitalizzazione dei servizi pubblici siamo allineati alla media europea, è nelle competenze digitali e nell’uso di internet che registriamo i peggiori posizionamenti come in basso alla classifica siamo anche per copertura di banda larga fissa.
Facendo un focus sul territorio, il DESI regionale, calcolato dall’Osservatorio Agenda Digitale, identifica la Lombardia come la regione più digitale d’Italia con un punteggio pari a 72 su 100, seguita da Lazio, Provincia di Trento, Emilia- Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana, Veneto, Provincia di Bolzano, Liguria, Umbria e Piemonte. Sotto la media nazionale si collocano invece Valle D’Aosta, Marche, Abruzzo Sardegna, Campania, Puglia, Basilicata, Sicilia, Molise. Ultima in classifica la Calabria, con un punteggio pari a 18,8.
Fondi per la digitalizzazione, una risorsa economica da sfruttare
Se in generale nel 2019 le PA locali (comuni e regioni) hanno speso 1,8 miliardi di euro in soluzioni digitali, +6% rispetto al 2018, la regione al primo posto per spesa in digitale è nuovamente Lombardia raggiungendo circa 243 milioni di euro l’anno nel triennio 2016-2018 (24,1 euro a cittadino). Analizzando però il valore pro capite, a primeggiare è la Valle d’Aosta, con 535 euro ad abitante, mentre in Campania vengono spesi solo 2,3 euro per cittadino. Mentre, se ci soffermiamo sulla capacità di sfruttare i fondi strutturali per l’agenda digitale, che nella programmazione europea 2014-2020 in Italia hanno raggiunto quota 3,6 miliardi di euro contro una media di 765 milioni per Paese e dei quali sono stati spesi complessivamente solo il 35%, le regioni più virtuose, ovvero che hanno speso oltre il 50% dei fondi, sono Puglia (81%), Valle d’Aosta (68%) e Lazio (58%).
“Per un buon coordinamento della ripresa del Paese, la PA deve spendere meglio in digitale, sperimentando soluzioni emergenti, favorendo gestioni associate, attraendo e trattenendo giovani qualificati. L’Europa investirà in modo sempre più importante sulla trasformazione digitale degli stati membri: ci stiamo affacciando a una nuova era di importanti opportunità e altrettante sfide da cogliere, delineando strategie e progetti in tempi brevissimi. Per fruire delle risorse, infatti, è necessario predisporre in fretta piani dettagliati”, ha affermato Michele Benedetti, Direttore dell’Osservatorio Agenda Digitale.
La trasformazione digitale all’interno degli enti locali
Coerentemente con quanto sinora affermato, i comuni più digitali risultano essere quelli al nord Italia e di maggiori dimensioni. Analizzando alcuni aspetti in particolare si rileva che solo il 36% dei comuni italiani ha nominato il proprio Responsabile per la Transizione al Digitale e, tra questi, meno di un terzo possiede competenze digitali specifiche. Il cloud è ormai una realtà consolidata tra i comuni: oltre il 50% ne faceva uso nel 2019, un altro 36% ne è a conoscenza e solo il 26% non conosce il piano Cloud della PA. Il 42% dei comuni non eroga servizi digitali mentre solo il 13% adotta il digitale in maniera pervasiva.
“Le PA italiane spesso iniziano un processo di trasformazione digitale perché obbligate – ha detto Giuliano Noci, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale –. Ciò che le ostacola è un personale numericamente inadeguato, ma anche la mancanza di competenze per gestire la trasformazione, che richiede un forte investimento nell’assistenza all’utenza e nel cambiamento culturale dei dipendenti. Il percorso di trasformazione digitale potrebbe essere accelerato dall’identificazione, valorizzazione e diffusione delle buone pratiche sviluppate dalle amministrazioni”.
Strategie innovative e mercato digitale
Sebbene il nostro Paese si sia dotato di importanti strategie digitali quali la strategia “Italia 2025”, il Piano triennale per l’informatica 2020-2022 e la nuova Strategia nazionale per le competenze digitali, si nota come il mercato degli acquisti digitali della PA, che oggi ha un valore pari a 5,8 miliardi di euro (appena l’8% del mercato digitale italiano), è concentrato nelle mani di pochi attori: solo il 15% dei fornitori di ICT lavora con la PA, mentre i primi 10 per fatturato coprono il 60% di quanto speso dalla PA in SPID, ANPR e pagoPA.
Forti lentezze si rilevano nella gestione delle gare per l’aggiudicazione dei lavori. Mediamente, una gara pubblica in tecnologie digitali è assegnata 4,5 mesi dopo la scadenza per presentare le offerte. Solo il 49% delle gare è assegnato in meno di 100 giorni. Anche se i tempi stanno migliorando (da una media di 167 giorni nel 2012 a una di 80 nel 2019), appaiono ancora incompatibili con quelli dell’innovazione digitale. Consip gestisce per tutte la PA gare relative a soluzioni digitali. Nel 2020 sono state aggiudicate 55 gare di ICT, 22 bandite nell’anno in corso.
Infine è da sottolineare come la normativa sui contratti pubblici appaia oggi incompleta, instabile, frammentaria e incoerente. A oltre 4 anni dalla pubblicazione del Codice dei Contratti Pubblici sono stati adottati solo 24 dei 45 provvedimenti attuativi necessari a renderlo pienamente operativo. E le PA italiane faticano a collaborare con l’offerta, in particolare quella di soluzioni digitali. Dopo 4 anni dall’introduzione, le PA italiane hanno fatto modesto uso delle procedure competitive con negoziazione, dei dialoghi competitivi e dei partenariati per l’innovazione (introdotte per aumentare le collaborazioni con le imprese): appena 326, di cui solo 27 per l’attuazione dell’agenda digitale.
“È di vitale importanza ripensare il procurement pubblico, ancora vittima di un pregiudizio che lo vede fonte di inefficienza, invece che una potente leva per la collaborazione tra imprese e PA per la trasformazione digitale dell’Italia – ha commentato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Agenda Digitale -. La PA, per giocare un ruolo di regista, deve dotarsi di chiare regole di ingaggio e collaborazione con i privati. È necessario rendere operativo il Codice dei Contratti Pubblici, favorendo finalmente la collaborazione tra PA e imprese”.