Scenari

McKinsey: il segreto del sourcing? Raggruppare le attività coerenti

La società di consulenza pone l’accento sul fatto che alle aziende non basta più distinguere le attività core e quelle noncore per ottimizzare la propria strategia di sourcing. Oggi infatti è fondamentale la clusterizzazione in gruppi omogenei. È proprio questo il punto di partenza per definire i fattori chiave che guideranno al meglio le scelte di approvvigionamento future

Pubblicato il 22 Set 2015

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Fare le scelte giuste in un mercato di approvvigionamento in continua evoluzione, in cui le nuove economie e le nuove tecnologie creano nuove sinergie e offrono una più ampia gamma di opzioni, richiede un nuovo modo di pensare. Oggi le scelte di procurement delle aziende manifatturiere devono tenere conto di una gamma più ampia di fattori rispetto a qualche anno fa, e anche le opzioni disponibili sono aumentate.

A fare il punto della situazione un’analisi di McKinsey, di cui abbiamo già parlato relativamente ad alcune considerazioni sulle valutazioni da fare nelle scelte di offshoring, nearshoring (sedi in Paesi limitrofi), farmshoring (località a basso costo nel Paese d’origine della società), o onshoring. Qui invece ci focalizziamo sulla seconda parte dell’analisi, che mette in luce come molte aziende stiano scoprendo che le decisioni non devono essere prese semplicemente basandosi sul fatto che le attività “noncore” possono essere delocalizzate. E i motivi sono principalmente due.

In primo luogo, è difficile definire oggettivamente cosa sia “core” e cosa non lo sia. Ad esempio, per la funzione finanza le vendite potrebbero essere un’attività core perché generano ricavi, mentre le operations sono “non core”. Invece per il marketing e le vendite potrebbe essere il call center l’attività principale perché dà loro visibilità sui clienti, mentre la Ricerca e Sviluppo potrebbe non esserlo.

In secondo luogo, se i top manager sono d’accordo, per esempio, che la gestione dei progetti IT sia core e che sarebbe meglio conservarla in-house, mentre lo sviluppo del software non lo è e quindi può essere esternalizzato, sarebbe fondamentale considerare anche gli effetti collaterali potenzialmente dannosi che deriverebbero dalla scelta di separare le due attività, come per esempio la mancanza di project manager interni qualora se ne avesse necessità nel futuro, dal momento che il loro know how e il precorso di carriera trova fondamento nell’esperienza in ambito software.

Questi due elementi dovrebbero quindi portare le aziende a definire con attenzione gli elementi costitutivi di una strategia di sourcing secondo una logica di raggruppamento delle attività, derivante da un’analisi sistematica – che idealmente dovrebbe riguardare l’intera azienda – dei processi di business interessati. Questo processo dovrebbe portare a individuare le interdipendenze tra le attività, scoprire i requisiti di prossimità, e rilevare i requisiti linguistici; sulla base di queste informazioni, le aziende possono definire quindi il gruppo di attività che può essere gestito con la medesima strategia di sourcing in modo coerente, usando lo stesso modello di ownership e lo stesso percorso.

Tale strategia potrebbe essere utile, per esempio, nel manufacturing. In un articolo di marzo 2012 sulla Harvard Business Review, il CEO di GE, Jeffrey R. Immelt, ha posto l’accento sul fatto che la gestione dell’area Ricerca e Sviluppo e della produzione in una sola unità localizzata all’Appliance Park di Louisville (Kentucky) porterebbe a ridurre gli sprechi e i costi, aumentando contestualmente la produttività.

Per il CIO di Nokia Solutions e Networks (NSN), Manfred Immitzer, ci sono tre grandi gruppi di attività relativi all’approvvigionamento IT. Il primo comprende le applicazioni aziendali che supportando le attività correlate ai clienti, e quelle di supply chain. Il secondo riguarda la Ricerca e Sviluppo, una funzione fondamentale in una società di tecnologia come NSN. Il terzo fa riferimento all’infrastruttura IT comune che serve l’intera NSN. A ciascuno di essi è stato assegnato un diverso panel di fornitori, ognuno con un mix differente di risorse onshore e offshore.

La definizione delle logiche core e noncore e il raggruppamento delle attività in gruppi omogenei di fatto rappresenta il miglior percorso che le aziende possano intraprendere per ottimizzare la loro strategia di sourcing. Questo processo di solito si traduce nella definizione di un network di sedi e di approcci di sourcing, che va anche oltre la geopolitica, la valuta e gli altri rischi, con l’obiettivo di rendere maggiormente accessibile il ricorso a un pool di talenti diversificato. L’analisi mostra che, invece di aumentare le dimensioni delle loro sedi offshore esistenti, le aziende preferiscono completare il loro network con centri farmshore e nearshore supplementari.

Poiché però questo aumenta la complessità di gestione del network, i manager preposti devono concentrarsi su una governance di sourcing efficace, e fare il migliore uso delle principali leve di creazione del valore, tra cui centralizzazione, economie di scala, standardizzazione dei processi, automazione, e gestione dei rapporti sindacali.

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