Con la nota sentenza del 3 luglio 2012, pronunciata nella controversia che ha contrapposto Oracle, primario sviluppatore e distributore di software, e Usedsoft, impresa tedesca specializzata nella rivendita di programmi per elaboratore second hand, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affrontato la questione della commercializzazione delle licenze «usate» di software scaricato via internet ed il connesso esaurimento del diritto di distribuzione previsto dalle normative nazionali e comunitarie a favore del titolare del diritto d’autore.
Who's Who
Gabriele Faggioli
CEO di Digital360, CEO di P4I - Partners4Innovation, Presidente Clusit
Alla stregua di tale principio – rispondente ad una ratio di bilanciamento tra gli opposti principi di esclusività dei diritti di proprietà intellettuale ed industriale, da un lato, e di libera circolazione di beni e servizi in ambito comunitario, dall’altro – ogni qual volta una copia di un’opera protetta ai sensi della normativa sul diritto d’autore venga posta in commercio per la prima volta, tale prima vendita esaurisce il diritto di controllo esercitabile dal titolare sulla successiva distribuzione della copia medesima (vale a dire, sui successivi passaggi di proprietà).
La Corte di Giustizia, con la citata pronuncia, ha definitivamente legittimato il mercato del software usato, sancendo che:
– sono qualificabili come “vendita” – con conseguente esaurimento del diritto esclusivo di distribuzione – “tutte le forme di commercializzazione di un prodotto caratterizzate dalla concessione di un diritto di utilizzare una copia del software, per una durata illimitata, a fronte del pagamento di un prezzo diretto a consentire al titolare del diritto d’autore di ottenere una remunerazione corrispondente al valore economico della copia dell’opera di cui è proprietario”;
– non vi è alcuna differenza tra la vendita della copia di un programma su supporto fisico e quella tramite download autorizzato dal sito web del titolare del diritto d’autore, posto che il principio di esaurimento diviene efficace in virtù di qualunque atto di messa in commercio del programma, inteso quale atto volontario di esercizio del diritto di distribuzione.
In mancanza di un’interpretazione estensiva della nozione di “vendita”, ai vendor sarebbe sufficiente qualificare il contratto di utilizzazione come “licenza”, anziché come “vendita” (come di fatto avviene in maniera pressoché costante nella prassi), per aggirare e svuotare di contenuto il principio di esaurimento.
D’altra parte, limitare l’applicazione del principio di esaurimento del diritto di distribuzione alle sole copie di software vendute su supporto informatico tangibile contrasterebbe con il principio di parità di trattamento di situazioni giuridiche analoghe, posto che permetterebbe al titolare del diritto d’autore di controllare la rivendita delle copie scaricate mediante reti telematiche e di pretendere, in tal modo, in occasione di ogni successiva rivendita, una nuova remunerazione, laddove la prima vendita della copia avrebbe già consentito al titolare medesimo di ottenere un’adeguata remunerazione per la posizione monopolistica che la legge gli riconosce sulla propria opera.
Naturalmente, nell’ottica di un equo contemperamento tra la tutela dei diritti d’autore e le istanze pro-concorrenziali sottese alla pronuncia della Corte, la rivendita di copie usate di programmi per elaboratore è assoggettata, dai giudici del Lussemburgo, a precisi requisiti di cedibilità.
Sotto questo profilo, l’acquirente iniziale di una copia di programma per elaboratore che intenda procedere a rivendita è tenuto, al momento della cessione, a rendere inutilizzabile sul proprio elaboratore, in modo definitivo, irreversibile e verificabile (cioè predisponendo tutte le necessarie e documentabili evidenze del caso), la copia originariamente acquistata. Solo in tal modo, infatti, viene evitata l’immissione in commercio di un numero di esemplari del programma superiore a quelli originariamente ceduti dal titolare, il cui diritto di distribuzione, sotto il profilo del controllo in ordine alla quantità delle licenze commercializzate, viene così preservato.
Per lo stesso motivo, la Corte stabilisce il principio di inscindibilità della licenza, alla stregua del quale, qualora la licenza acquisita dall’iniziale acquirente preveda un numero di utenti superiore alle sue esigenze, questi, per effetto della regola dell’esaurimento, non sarà comunque legittimato a scindere la licenza in questione e a rivendere unicamente il diritto di utilizzare il programma di cui si tratta corrispondente ad un numero di utenti da egli stabilito.
È utile segnalare che la giurisprudenza nazionale successiva alla sentenza in esame, in particolare in Germania, ha fornito una particolare e condivisibile interpretazione del divieto di scissione, stante la quale occorrerebbe distinguere tra:
– licenze Volume, vendute in pacchetto per ragioni che attengono alle politiche di distribuzione, marketing e scontistica adottate dalle Software House, ma che, ciononostante, devono essere intese come licenze singole;
– licenze Client/Server, mediante le quali il produttore concede all’originario acquirente il diritto di memorizzare in modo permanente su un proprio server il software ceduto, provvedendo contestualmente ad attribuirne l’accesso dalle postazioni di lavoro di un determinato numero di utenti.
Secondo tale impostazione, il divieto di scissione sancito dalla Corte sarebbe da riferirsi solo a queste ultime, dal momento che una successiva rivendita parziale del numero di utenze afferenti a tali licenze comporterebbe necessariamente una illegittima duplicazione delle copie del software (che verrebbe permanentemente archiviato tanto sul server del primo acquirente, quanto su quello del secondo acquirente, pur a fronte del fatto che il numero di utenze che di esso fruiscono permanga identico).
Viceversa, le licenze facenti parte di pacchetti Volume possono essere rivendute singolarmente, poiché la cessione parziale non altera in alcun modo il numero di licenze originariamente immesso in commercio con il consenso della Software House titolare dei diritti sulle stesse.
È evidente che qualora una tale interpretazione trovasse accoglimento e diffusione nella prassi commerciale, il mercato del software usato, attualmente ancora allo stato embrionale – anche per i timori delle aziende circa la sua legittimità – potrebbe conoscere un forte ed auspicabile sviluppo nei prossimi anni.
*di Gabriele Faggioli, legale, Adjunct Professor MIP-Politecnico di Milano e Annamaria Italiano, avvocato