Il Piano Transizione 4.0 può diventare lo strumento per la transizione post-Covid con le dovute e necessarie variazioni su cui sta alacremente lavorando Confindustria: aumento delle percentuali del bonus R&S e innovazione, drammaticamente abbassate nella finanziaria 2019 – ma migliorate solo nel Mezzogiorno – e allungamento dei tempi della misura ad almeno 3 anni (cosa anche questa già fatta per il Sud).
Aggiungerei una visione meno burocratica e formalistica della misura, rimandando sì ai Manuali di Frascati e di Oslo per i criteri di applicazione, ma non pretendendo che essi siano esauditi per tutte le declinazioni di attività in quanto, soprattutto il primo, è un manuale nato in ambito universitario e che quindi sconta una lontananza dalla prassi che l’azienda non può sempre soddisfare.
Premiare le imprese (anche le PMI) che già innovano
Ridurre la rispondenza ad almeno tre dei cinque criteri e/o limitare il concetto della novità e dell’unicità a quanto realizzato dall’azienda per il mercato di riferimento consentirebbe l’utilizzo della misura a tutte le imprese, soprattutto alle PMI meno avvezze ai formulari, ma che fanno paradossalmente più innovazione senza ricerca come formalmente declinata. Così da non dare le imprese in pasto ad occhiuti ed impreparati funzionari, premiati paradossalmente per il recupero di somme che poi portano a temerari contenziosi per la PA.
L’adeguamento di Transizione 4.0 alla guerra asimmetrica dichiarata dal Covid-19 all’apparato produttivo italiano sarebbe ancora più utile, perché le aziende, che di fatto non si sono mai fermate, hanno investito già moltissimo in proprio, innovando i propri processi lavorativi con massicce dosi di smart working e implementando in tempi rapidissimi piattaforme innovative per l’innovazione dei processi aziendali e per la sicurezza degli ambienti di lavoro. Inoltre, premierei in maniera aggiuntiva l’introduzione nella PA e nelle aziende degli smart contracts con tecnologie Blockchain che sostituiscano la stretta di mano dal notaio o dal segretario comunale (ora non consigliabile) con una più affidabile stretta di mano tecnologica.
Nasce l’imprenditore-manager
Non escludo, peraltro, che tali cambiamenti possano produrre nuovi asset organizzativi in grado di sostituire l’occhio vigile (fisico) del padrone con quello più efficiente dell’imprenditore-manager, rispetto ai risultati raggiunti dai dipendenti in smart working. Meno tempo nel traffico e più tempo per lavorare meglio e da dedicare al wellness personale. Ma queste sono analisi che faremo a fine crisi.
Per cui oltre alle misure emergenziali in atto, che si spera contribuiscano a diminuire un effetto di probabile decimazione aziendale, sarebbe importante approfittare, come spesso accade nei momenti di difficoltà, della crisi per trasformare in meglio quelle aziende e fare dell’Italia il Better Place dove è possibile non solo fare impresa, ma anche e soprattutto fare un’impresa di qualità.
Reset fiscale e Animal Spirits
Va però decimata, quella sì, la pulsione burocratica che tiene lontani gli investitori dalle nostre terre e dissuade gli “eroi” che l’impresa qui già la fanno e potrebbero fare di più. Quegli “eroi” che oggi stanno anche loro in trincea, al pari del nostro sistema sanitario, per assicurare al sistema Paese un “dopo” che con i vizi italiani è ora difficile immaginare.
Utilizzerei, anzi, l’anno 20 come anno fiscale 0 D.C. (Dopo Covid) per un completo reset fiscale (parola più digeribile di condono) recuperando dalle imprese che possono farlo gettito che in questo momento sarebbe oro colato. Quindi, con un fisco leggero ed un’amministrazione amica, dedicare alla lotta al sommerso ed all’evasione tutte le risorse di Polizia di cui disponiamo.
È il momento degli Animal Spirits italiani che devono essere lasciati liberi di fare e che non devono avere avanti a sé le impervie pastoie burocratiche tipiche del nostro sistema legislativo.
Per dimostrare a noi ed al mondo che è veramente andato “tutto bene” e che l’Italia è il posto migliore per venire a fare innovazione, impresa e vita.
Qui ed ora.