@umbertobertele
Umberto Bertelè, che presiede l’Advisory Board di ICT4Executive, è ordinario di Strategia e sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano e presidente onorario del MIP. È autore del libro “Strategia” edito da Egea Clicca qui per scaricare il pdf
Apple e Ibm rinunciano alla loro storica inimicizia (che risale addirittura agli anni ’80) e si alleano per promuovere un utilizzo organico e strutturato degli smartphone e dei tablet nel mondo corporate, dove tali dispositivi sono entrati di soppiatto portati dai dipendenti. Nel contempo Apple esulta per i risultati realizzati con la penetrazione dell’iPhone nel mercato cinese e promette nuovi regali ai propri azionisti nel 2015, una volta conclusa la distribuzione dei ben 100 miliardi di dollari – fra dividendi e buyback – decisa dal successore di Steve Jobs per calmare gli appetiti del mercato finanziario.
Anche Ibm ha grossi appetiti da soddisfare (i buyback negli ultimi 4 anni e mezzo sono ammontati a 68 miliardi di dollari), ma per farlo deve giocare soprattutto sul taglio dei costi: perché i ricavi, a causa del passaggio di molti clienti ai meno remunerativi servizi cloud e della domanda inferiore alle attese ad esempio nei big data, sono soggetti da ormai nove trimestri a una lenta ma continua erosione.
La carta dei costi, accompagnata però da un aumento dei ricavi, è giocata anche da Microsoft con l’annuncio del taglio di ben 18 mila dipendenti (per la maggior parte ex-Nokia) sui 127 mila complessivi, nel quadro di un impegno più complessivo da parte del suo nuovo CEO – in risposta all’apprezzamento espressogli dal mercato al momento della nomina con un forte aumento del valore del titolo – di procedere a una profonda rifocalizzazione del portafoglio di business per fare di Microsoft stessa una “mobile-first, cloud-first” company.
Mobile e cloud rappresentano le due parole chiave per comprendere gli aggiustamenti in atto nel comparto ICT, oltre che i motori di disruption in molti altri comparti dell’economia (dalle macchine fotografiche ai giochi elettronici, dai giornali ai libri e alle librerie, dai taxi agli hotel, sino a toccare il mondo della finanza e l’organizzazione della sanità).
L’accesso a Internet in mobilità
La possibilità di accedere a Internet in mobilità (invece che dai PC), preesistente ma diffusasi a macchia d’olio con l’introduzione dell’iPhone, ha fatto crescere a dismisura in pochissimi anni imprese come Apple e Samsung e ha portato al drammatico ridimensionamento di imprese della rilevanza di Nokia e BlackBerry. Ha fortemente penalizzato le vendite di PC: incrinando le posizioni delle quasi monopoliste Microsoft e Intel, costrette (come visto per la prima) a intraprendere strategie diverse insieme a cambiamenti nella loro cultura di impresa, e mettendo in forte difficoltà altre società leader come HP (nel frattempo colpita anche su altri versanti del suo portafoglio), Dell e Sony. Ha costretto a una faticosa – ma sinora coronata da successo – transizione dal fisso al mobile anche Internet company molto più giovani, quali Google nel search e Facebook nei social network. Ha dato la stura alla nascita di una molteplicità di start-up, operanti nei campi più diversi, diverse delle quali cresciute di valore in tempi rapidissimi: clamoroso il caso di WhatsApp, venduta a 4 anni dalla nascita a 19 miliardi di dollari.
Il ciclo di vita di smartphone e tablet sembra avviato però verso la fase di saturazione, nell’attesa quasi messianica di un nuovo dispositivo smart che rimetta in moto il mercato, e le imprese si stanno adattando a questo nuovo contesto. Apple, che opera nella fascia più alta del mercato, da un lato si comporta sempre più – anche in relazione alle persone chiave che porta al suo interno – come una luxury company e dall’altro (con una strategia da manuale ma molto diversa da quella di Steve Jobs) punta all’allargamento del mercato dei prodotti esistenti, entrando in nuove aree geo-politiche (Cina in primo luogo) e in nuove aree di business (quali il mercato corporate attraverso l’accordo con Ibm). Samsung soffre di più, perché la strategia sinora vincente di accrescere la quota di mercato attraverso la presenza in tutte le fasce di mercato la sta esponendo a una concorrenza feroce in quelle più basse. Microsoft deve capire quali spazi riuscirà a conquistare per i dispositivi comprati da Nokia in un mercato molto affollato a livello di produttori ed estremamente concentrato a livello di sistemi operativi. Sony è uscita dal comparto dei PC (cedendo il relativo business) e HP stava per farlo, ma i nuovi modelli e i nuovi ibridi che l’industria dei PC propone ne arrestano – almeno per il momento – una ulteriore caduta.
La crescita del cloud
La diffusione del cloud computing e il drastico abbassamento del prezzo dei server impattano invece in misura significativa sul mercato corporate, dove aprono la strada all’ingresso di nuovi attori – con una offerta fortemente variegata di servizi cloud – accanto a quelli più tradizionali come Ibm, HP, Cisco, Oracle, Sap e la stessa Microsoft.
È un mercato che si va affollando, nella previsione che la transizione al cloud, in forma integrale o ibrida (mantenendo cioè all’interno alcune operazioni ritenute più critiche), prenda sempre più piede. Nella previsione che si vada verso un tipico modello di sharing economy, in cui le imprese utilizzatrici non debbano più (nel caso integrale) investire nell’acquisto di hardware e software, ma possano fruire in outsourcing dei servizi alternativi con un pagamento “a consumo”. Che si vada verso una radicale riorganizzazione dell’IT nelle imprese utilizzatrici stesse, con una profonda revisione del tradizionale ruolo del CIO.
Gli incumbent del settore sono costretti (come visto nel caso di Ibm) a offrire ai loro clienti – per non perderli – l’alternativa cloud ai prodotti legacy, con un doppio problema: il calo dei ricavi, almeno nel breve termine, perché all’acquisto e ai fee per la manutenzione si sostituisce il pagamento “a consumo” del servizio; la minor garanzia della fedeltà dei clienti, che una volta intrapresa questa strada possono avere una maggiore propensione a rivolgersi a fornitori alternativi per servizi specifici (ad esempio, parlando di un caso di grande successo, a Salesforce.com per il CRM).
È probabilmente Microsoft nell’ambito degli incumbent l’impresa che più si sta impegnando per cavalcare il fenomeno cloud, avendo come grandi avversari – in una furiosa guerra dei prezzi per la conquista della leadership – Amazon (che del cloud è stata antesignana) e Google (stimolata dalla disponibilità di un’enorme infrastruttura cloud interna finalizzata al servizio di search). Ma anche Ibm e Cisco si muovono con decisione nella stessa direzione, affiancati (tra gli altri) da un leader del comparto telecom come Verizon (Telecom Italia segue una strada simile), da società più giovani come (in campi diversi) VMware e Salesforce.com e da start-up aggressive operanti in prevalenza con una logica di nicchia.
Una situazione quindi in grande evoluzione, ma che per il momento non ha provocato significative cadute di valore dei maggiori protagonisti, anche per le capacità di ristrutturarsi messe in mostra da alcuni di essi: esemplare il caso di HP (società come detto con un portafoglio molto composito) che, nonostante da ben undici trimestri veda slittare verso il basso i suoi ricavi, nell’ultimo anno ha incrementato del 40 per cento circa il valore del suo titolo “mandando a casa” quasi 50 mila dipendenti. Una situazione però che ben difficilmente non attiverà fenomeni di disruption nel futuro, con la perdita di peso di alcuni protagonisti e l’entrata in gioco di nuovi: le forti spinte presenti sul mercato verso M&A volti al consolidamento o verso break-up volti a una maggiore focalizzazione possono essere visti come segnali in tale direzione.
Qualche numero
Nonostante le incertezze sul loro futuro, a causa del contesto estremamente dinamico in cui operano, il mercato finanziario – anche se con qualche selettività – continua ad avere un forte amore per le imprese ICT: affascinato in taluni casi dall’entità dei profitti che esse sono capaci di generare e in altri dalle potenzialità, talora in realtà solo speranze o illusioni, di crescita.
Appartengono al mondo dell’information technology ben tre delle prime quattro imprese ai vertici mondiali per capitalizzazione di borsa (TAB. 1): Apple, Google e Microsoft. Tre imprese diverse per età e per data di raggiungimento del successo, con prodotti core differenti ma anche con crescenti sovrapposizioni nei loro portafogli di business e conseguentemente in aspra competizione fra loro. Tre imprese con numeri impressionanti dei ricavi e dei profitti pro-capite dei loro occupati diretti.
Molto nutrito è anche il novero delle imprese ICT che le seguono (TAB. 2), con capitalizzazioni comprese fra gli oltre 200 miliardi di Samsung e i 66 di eBay. Una lista in cui non ho fatto distinzione, data la mancanza di linee di separazione nette, fra chi vende prevalentemente hardware e chi software e servizi, fra chi serve prevalentemente il mercato consumer e chi il corporate, fra gli operatori telecom e le cosiddette OTT–over the top (Verizon è entrata ad esempio come visto nel cloud e Google sta investendo in reti di comunicazione veloci in diverse città statunitensi). Una lista in cui ho inserito la protagonista di quello che potrebbe essere il più rilevante IPO della storia per valore della raccolta e per capitalizzazione implicita (200 miliardi di dollari?): Alibaba, leader dell’e-commerce in Cina e recentemente entrata con grande successo anche nell’ambito finanziario. Una lista che non vede la presenza di alcuna impresa ICT italiana, ma ove – anche togliendo il vincolo del settore di appartenenza – riuscirebbe a entrare solo Eni con i suoi 96,3 miliardi di dollari di capitalizzazione (Enel è a quota 52,9, Intesa Sanpaolo 49,6 e Unicredit 46,5).
Infine (TAB. 3), la lista delle imprese più giovani o comunque di successo recente, graficamente distinte per età di fondazione e tripartite: quelle quotate, con il loro valore di borsa; quelle oggetto recente di acquisizione; quelle infine non ancora quotate, ma di cui è disponibile la capitalizzazione implicita sulla base della quale esse hanno ricevuto i conferimenti di capitale più recenti.