Il reparto marketing è il vero motore della digital transformation nelle aziende italiane, siano esse B2B che B2C, grandi oppure PMI. È la fotografia che emerge da una ricerca realizzata da SAP in collaborazione con la società di analisi di mercato Pepe Research. Il campione sono i Responsabili Marketing di società italiane di dimensioni medio-grandi, varie e trasversali per settore e mercato finale: le interviste sono state realizzate in due step, uno quantitativo e uno qualitativo, e offrono uno spaccato della situazione digitale in Italia.
Digitalizzazione e marketing, stato dell’arte e canali principali
L’indagine di Pepe research e SAP prende la mosse dalla definizione dello stato di digitalizzazione delle aziende e di formazione delle risorse in materiale di digital marketing. Si tratta di una survey condotta nella seconda metà del 2019, quindi pre-pandemia, l’evento che ha sconvolto e accelerato vita e business di mezzo mondo.
Riguardo la percezione di informazione dei CMO (Chief Marketing Officer) rispetto al digitale e alle differenti piattaforme marketing esistenti, se la maggior parte sostiene di essere mediamente aggiornati, il 20% afferma di sentirsi quasi privo di aggiornamenti in materia: un target, quindi, che ha fame di informazioni e di vera formazione.
I canali informativi privilegiati sono, in primis, i corsi organizzati dalle aziende stesse proprio per formare e aggiornare le proprie persone. Al secondo posto, le newsletter e l’editoria specializzata e la partecipazione ad eventi dedicati. Appena fuori dal podio, la consulenza di specialisti oppure siti, forum, chat e passaparola.
Un po’ sconfortante il dato relativo a quanto il marketing stesso di percepisce digitalizzato rispetto alle proprie aspettative: ben il 28% risponde “poco, per nulla”. Inoltre, il 20% sostiene che la dimensione digitale non sia adatta al Marketing B2B.
In particolare, ci sono aspetti e canali più o meno digitalizzati, nell’ordine:
- La maggior parte delle aziende intervistate dice di avere un buon presidio sui Social media
- Seguono gli strumenti – obbligatori – di compliance legati a privacy e GDPR
- Buono anche il livello per comunicazioni automatizzate, newsletter e DEM (Direct email marketing)
- Mediamente buono anche il livello per i CRM commerciali
- Il minor tasso di digitalizzazione viene percepito sulle piattaforme di gestione di agenti e venditori, sulla gestione della comunicazione con i clienti e, paradossalmente, sull’e-commerce.
In media, le aziende con un target B2C sono più “avanti” rispetto a quelle B2B: ma perché?
Le risposte alla survey portano a riflettere sul fatto che il mercato finale consumer è visto come più proficuo e stimolante, portando quindi le aziende a una maggiore digitalizzazione. Il consumatore di un prodotto di massa è, generalmente, più portato all’uso di dispositivi e di strumenti digitali rispetto a mercati più verticali e specializzati. Riguardo l’e-commerce, ad esempio, le aziende B2B fanno molto meno rispetto al B2C: emerge però il desiderio anche nelle aziende che hanno un mercato business to business di sfruttare il commercio elettronico, benché sia meno “semplice” della vendita di un prodotto al consumatore privato.
Anche la questione delle piattaforme di gestione venditori/agenti è uno snodo cruciale: spesso si usano dei CRM efficaci ma non si è in grado di portare davvero tutto il patrimonio informativo del Sales in azienda, un patrimonio che resta individuale e spesso connotato emotivamente, creato “davanti a un caffè”, cioè attraverso una relazione personale. Un aspetto, questo, che è molto cambiato durante la pandemia.
Durante la pandemia, il marketing ha compiuto un notevole passo in avanti, ma la situazione delle PMI è destinata a muoversi meno velocemente rispetto alle grand azeinde.
Pro, contro e freni alla digital transformation in Italia (pre-Covid)
Sembra una domanda retorica, ma qual è il valore aggiunto della digitalizzazione? Secondo i più, sono i dati: avere più informazioni a disposizione permette di essere più efficaci con le campagne e si giudica del tutto impossibile fare marketing, oggi, senza dati e senza canali digitali.
Ma la digitalizzazione avrebbe anche dei minus: i Responsabili Marketing intervistati sottolineano come molti strumenti sul mercato non siano ancora abbastanza personalizzabili per la propria specifica azienda. Accanto al tema della personalizzazione di strumenti e obiettivi, alcuni percepiscono la trasformazione digitale come “un processo faticoso e costoso”, mentre per altri “sarebbe un limite alla componente creativa del marketing”.
Infine, la domanda più spinosa della survey: quindi, quali sono i freni alla digitalizzazione?
Di certo, non freni di mercato – un mercato per nulla acerbo, anzi – né strumentale, perché gli strumenti oggi ci sono. Nell’Italia pre-Covid, quando ancora smart working e campagne di digital marketing erano opportunità e non necessità, il vero freno parevano essere le persone stesse, spesso ancora a un modo analogico di lavorare, resistenti e sospettose verso il cambiamento, portate a pensare “si è sempre fatto così”.
Importante, quindi, nonostante il boost dato dall’emergenza coronavirus, continuare a fare formazione digitale ai manager, ai vertici aziendali, soprattutto nelle piccole aziende padronali, ma anche alle reti commerciali e al personale della PA: solo così la trasformazione potrà continuare anche quando – speriamo presto – potremo tornare a una vita normale. La nuova normalità è fatta di digitale.
Digitalizzazione e marketing nello scenario post-pandemico
I dati riguardanti la digitalizzazione in Italia sono controversi e dipendono in grossa parte dalle dimensioni e dal mindset delle imprese che l’hanno messa in atto e continuano a cercare di migliorarsi dal punto di vista digitale.
Secondo il Rapporto Istat 2021, la digitalizzazione del sistema produttivo e dell’erogazione di servizi pubblici sta procedendo speditamente, anche grazie alle risorse messe in campo dal PNRR, che ha destinato oltre il 25% dei 235 miliardi stanziati proprio nello sviluppo tech.
Questo riguarda soprattutto le grandi aziende, mentre lo scenario PMI vede ancora una lunga strada da percorrere per raggiungere livelli di digitalizzazione soddisfacenti, sia come processi produttivi che come marketing, comunicazione e produzione di contenuti di qualità.
Dati DESI (Digital Economy Social Index), l’indice elaborato dalla Commissione europea per misurare la modernità delle economie europee, in termini di vendite online le SME italiane si collocherebbero al 26° posto su 28, distanti quindi da Paesi come Irlanda, Germania e UK. Non solo, la nostra piccola-media impresa dimostrerebbe pesanti ritardi nella presenza sul web, ma questo sarebbe da imputare a grandi difficoltà nell’analisi e nell’uso dei Big-data e nella lentezza di adozione di infrastrutture tecnologiche avanzate e di personale ICT qualificato.
Mancherebbero, quindi, tutti gli elementi essenziali: personale, formazione e competenze, e infrastruttura. Una sfida che il 2022 vedrà concretizzarsi, unendo ripresa “fisica” e necessità di proseguire sul cammino della digitalizzazione.