Il quadro che emerge da un’indagine realizzata dall’Adnkronos è abbastanza inquietante. Secondo lo studio la metà delle Pmi interpellate tramite diverse associazioni d’impresa, oltre mille distribuite su tutto il territorio nazionale, ha rifiutato almeno una richiesta di denaro per concludere un affare nel corso dell’ultimo anno. Ma il il 25%, una su quattro, ammette di aver pagato una tangente, sotto una qualsiasi forma; il 45% teme che possa essere costretta a farlo in futuro.
I dati sono in crescita rispetto alla stessa rilevazione effettuata all’inizio di dicembre 2013. L’incremento portrebbe anche essere legato ai primi segnali di ripresa che stanno arrivando anche nell’edilizia, uno dei settori più a rischio per la richiesta di tangenti.
Nonostante le inchieste e il clamore dei casi di corruzione più gravi che emergono, tra i piccoli imprenditori è diffusa una scarsa fiducia nella possibilità di ristabilire la legalità. Un dato particolarmente significativo è infatti quello che riguarda le mancate denunce: delle imprese che hanno ricevuto richieste di denaro, solo il 10% si è rivolta alle forze dell’ordine.
Chiara, dunque, la rassegnazione degli imprenditori di fronte a quello che viene percepito come un ‘sistema consolidato’: 8 imprese su 10 pensano che le proprie possibilità di chiudere affari sia influenzata da tangenti pagate da altri.
In sostanza, la necessità di oliare i meccanismi che possono assicurare un contratto viene considerata come una voce di costo impossibile da comprimere nel bilancio aziendale. Il 45% delle Pmi che non esclude di dover ricorrere a una tangente nel prossimo futuro dichiara infatti che pur di incrementare il volume degli affari è disponibile a pagare un prezzo.
Secondo uno studio di Unimpresa, il fenomeno della corruzione in Italia diminuisce gli investimenti esteri del 16% e fa aumentare del 20% il costo complessivo degli appalti. Tra il 2001 e il 2011, la corruzione ha “mangiato” 10 miliardi di euro l’anno di prodotto interno lordo per complessivi 100 miliardi in dieci anni. Le aziende che operano in un contesto corrotto crescono in media del 25% in meno rispetto alle concorrenti che operano in un’area di legalità. E, in particolare, per le piccole e medie imprese hanno un tasso di crescita delle vendite di oltre il 40% inferiore rispetto a quelle grandi.
Altri dati arrivano da un recente rapporto Price&Waterhouse per l’Olaf, l’agenzia antifrode europea. Sui 120 miliardi sottratti ogni anno all’economia europea dalle tangenti, l’Italia pesa per circa 60 miliardi.
Lo stesso rapporto evidenzia che le possibilità che in Italia un appalto pubblico sia viziato dalla corruzione arrivano al 10% delle gare. Un dato che è tre volte quello francese e più di dieci volte quello olandese, sostanzialmente in linea con Paesi come la Romania e l’Ungheria, da poco entrati nell’Unione Europea.
Il rapporto conferma che il problema principale per l’Italia sono le gare truccate, con vincitori già stabili a monte: riguardano il 63% delle violazioni delle regole. Meno diffuso il conflitto di interesse, l’attribuzione a parenti o amici di lavori e commesse, che viene riscontrato nel 23% dei casi.