@umbertobertele
“Whatsapp è riuscita a distruggere il mercato degli sms in soli 4 anni: un’operazione che avrebbe richiesto in altri tempi tra i 20 e i 30 anni”, ha sostenuto uno dei principali operatori mondiali di venture capital, in occasione della recente acquisizione di Whatsapp da parte di Facebook per 19 miliardi di dollari. diciannove miliardi per una start-up nata nel 2009, che è riuscita in 4 anni – investendo pochi soldi (60 milioni di dollari) e con pochissime persone (55 in tutto), ma rinunciando quasi integralmente (dato il suo business model) ai ricavi – a superare la soglia dei 450 milioni di utilizzatori e dei 50 miliardi di messaggi processati al giorno: la più elevata velocità di crescita nella storia dell’economia mondiale. Al di là dell’entità della cifra pagata, è proprio la velocità con cui Whatsapp e le start-up sue concorrenti stanno disgregando un mercato ricco come quello degli sms, con pesantissimi danni per gli operatori telecom che lo controllano, che a mio avviso merita riflessione. Anche perché si tratta di un mercato di nascita relativamente recente, sviluppatosi (fino all’avvento degli smartphone) con il diffondersi dei cellulari, e anche perché i soccombenti sono in larga maggioranza grandi imprese.
Così come merita riflessione il fatto che i nuovi entranti – Whatsapp e le altre start-up – sottraggano alle imprese incumbent quote crescenti di mercato, ma non subentrino a esse (se non in minima parte) nei ricavi e nei profitti, perché offrono i servizi alternativi (quasi) gratuitamente. Una strategia che potrebbe apparire suicida, giustificata però dalla possibilità di quotarsi o di vendersi al miglior offerente, portando in dote la possibilità di fare profitti con la profilatura degli utilizzatori e/o contribuendo con la propria immagine a ravvivare quella dell’acquirente (come nel caso di Whatsapp e precedentemente in quello di skype pagata 8,5 miliardi di dollari da Microsoft).
Quali sono stati gli ingredienti alla base del fenomeno Whatsapp? Se ne possono evidenziare almeno cinque:
- la possibilità nata con gli smartphone – il lancio dell’iPhone precede di due anni quello di Whatsapp – di un accesso in mobilità a internet e quindi di un convogliamento alternativo dei messaggi attraverso internet stessa. Un convogliamento, viceversa sbarrato ai cellulari, già sfruttato in precedenza per le chiamate telefoniche da skype ma a partire dai PC;
- la possibilità passando attraverso internet di aggirare la politica di discriminazione dei prezzi infunzione degli utilizzi applicata dagli operatori telecom, offrendo un’alternativa a costo nullo (o quasi) con funzionalità più ampie: quale ad esempio l’inclusione nei messaggi stessi di foto;
- la disponibilità crescente di banda larga (broadband), per i suoi riflessi sulla qualità dei servizi fatti transitare attraverso internet;
- la disponibilità di una infrastruttura sempre più consistente di cloud computing, che permette di memorizzare dati ed eseguire elaborazioni anche molto complesse in remoto: attribuendo di fatto alle app (quale la stessa Whatsapp è) il ruolo di comando, senza gravarle della pesantezza dei pro- cessi che esse stesse attivano e controllano;
- il costo estremamente contenuto per la creazione e la diffusione di una app di così grande successo.
La crescita di Whatsapp attraverso la disgregazione di un settore ricco come quello degli sms è un caso esemplare di big-bang disruption, cioè il fenomeno, dilagante nell’economia, di sparizione di interi settori o comunque di stravolgimento delle loro logiche competitive per l’entrata in gioco di business model completamente (quale quello di Whatsapp) o parzialmente alternativi, resi possibili dalla più recente ondata di innovazioni tecnologiche e di investimenti infrastrutturali nell’ICT.
Big-bang disruption è anche il titolo del recentissimo libro (di cui presto uscirà la versione italiana) di Larry Downes e Paul F. Nunes, i due studiosi che hanno evidenziato e razionalizzato il fenomeno.