@umbertobertele
È una notizia che mi è capitata sotto gli occhi per caso, scorrendo una copia di Le Monde datami in aereo. Obama ha nominato come suo principale consigliere economico Jeffrey Zients, un quarantasettenne che ha costruito il suo successo – e un patrimonio di 200 milioni di dollari circa – come ristrutturatore di imprese, oltre a ricoprire temporaneamente incarichi pubblici.
Una notizia minore, ma a mio avviso molto significativa, perché Jeffrey Zients si è meritato la nomina aiutando Obama a risolvere uno dei problemi che più lo tormentavano: far funzionare il sito Healthcare.com, quello in cui dovevano censirsi i milioni di statunitensi privi di assicurazione sanitaria, che (a dispetto della leadership del Paese nell’ICT) funzionava malissimo destando grandi malumori nella popolazione. Zients ha migliorato il funzionamento del sito in pochissimo tempo, con successi palesi nell’incremento dei ritmi di iscrizione, intervenendo non tanto sulla tecnologia, quanto sulla macchina organizzativa che si occupava (in modo evidentemente inefficiente) del sito. Lo ha fatto ridefinendo la governance della macchina stessa e mantenendo il fiato sul collo delle persone, che lo dovevano informare via mail ogni mezz’ora sui progressi realizzati.
Quale la morale che se ne può trarre?
In primo luogo l’importanza che, in un Paese come gli Stati Uniti, viene attribuita al buon funzionamento della PA: un tema ricorrente, più volte al centro del dibattito nelle campagne presidenziali, su cui non si esprimono solo lamentele (come purtroppo accade da noi), ma su cui si agisce attribuendo i poteri necessari a chi è incaricato di aggiustare le cose. Una domanda che mi nasce spontanea: Caio e Cottarelli, personaggi di primissimo piano incaricati da Letta di occuparsi dell’agenda digitale il primo e della spending review il secondo, dispongono dei poteri necessari?
In secondo luogo, l’importanza che l’informatizzazione sempre più ha nella PA, per rispondere nel modo migliore possibile alle esigenze delle persone e delle imprese. In una fase storica in cui – come sostengono Larry Downes e Paul Nunes nel loro recentissimo libro “Big-Bang Disruption” – every business is a digital business, in cui cioè sono pochissimi i settori dell’economia e della società non toccati dalle profonde trasformazioni indotte dall’ultima ondata di innovazioni nell’ICT, una PA poco informatizzata può avere impatti rovinosi per la competitività del Paese in un mondo sempre più aperto e interrelato.
In terzo luogo la necessità che alla informatizzazione della PA si affianchi un profondo processo di ristrutturazione della stessa e di ridefinizione dei meccanismi di governance. Non ha senso informatizzare processi burocratici spesso “al limite della follia” e l’informatizzazione deve rappresentare l’occasione – come accade nelle imprese vitali – per “ripensare da zero” i processi stessi. Ma qui nascono ovviamente anche le resistenze maggiori, non solo da parte della PA ma anche di quelle componenti del Paese che vivono sui rapporti con la PA o che comunque sono culturalmente lontane dal cogliere il legame fra il rilancio dell’Italia e la sua sburocratizzazione: resistenze forti, se si guarda ai costanti insuccessi dei governi che si sono succeduti in questi anni. È uno dei problemi a mio avviso più grossi del nostro Paese, ma purtroppo ci appassiona molto di più confrontarci sul prossimo sistema di voto.