Editoriale

Le vittime dell’innovazione “disruptive”

La combinazione “dispositivi mobili (smartphone e tablet) + app + cloud computing + broadband” ha causato scossoni in molti comparti dell’economia, portando in tempi rapidissimi alla scomparsa dal mercato -o al drastico ridimensionamento- di business fiorenti fino a pochi anni fa. Un fenomeno affascinante, ma per certi versi terrificante

Pubblicato il 25 Nov 2013

Innovazione-disruptive

Due notizie apparentemente minori, apparse in questi giorni sui due principali quotidiani economici internazionali, mi spingono a qualche riflessione. La prima: sono in aumento le start-up specializzate nella raccolta a pagamento – via web e soprattutto via mobile – dei fondi destinati alle associazioni di beneficienza che non possono permettersi una presenza diretta in Rete. La seconda: Google sta valutando accordi con VSP – la struttura assicurativa no profit statunitense che dispone di una rete di 30 mila medici optometristi, che serve circa 60 milioni di persone e che produce anche lenti e montature – per studiare forme dei suoi Google glass che si adattino ai bisogni di chi porta gli occhiali da vista e per sfuggire al pericolo di avere come clienti solo i “maniaci” della tecnologia.

Due notizie, apparentemente non correlate, che danno però un’idea di come si stiano diffondendo – con un grosso impatto sull’economia e sulla società – i nuovi modelli di business basati sulla combinazione “dispositivi mobile + app + cloud computing + broadband”.

Parto dalla prima notizia. L’uso degli sms per raccogliere fondi (per Telethon piuttosto che in occasione di terremoti o alluvioni) ha rappresentato non molti anni fa un’innovazione importante, resa possibile dalla diffusione dei cellulari; ma anche una fonte di reddito per gli operatori telefonici, nell’ambito di quelli che all’epoca erano denominati “servizi a valore aggiunto (VAS con l’acronimo inglese)”. Il passaggio estensivo all’uso della Rete, che offre una qualità del contatto sensibilmente superiore, può essere visto – anche se le cifre in gioco non sono di grande rilievo – come un ulteriore esempio della conquista di spazi da parte degli over the top ai danni delle imprese telecom: Skype, grande antesignano di questo passaggio, apportò danni rilevanti alla telefonia tradizionale; più di recente sono le chat, attraverso WhatsApp piuttosto che Facebook,  che stanno facendo franare il mercato degli sms.

Passo alla seconda notizia. Io non so se la cosiddetta wearable technology avrà o meno il successo su cui stanno puntando le principali imprese, preoccupate per la saturazione del mercato degli smartphone; non so valutare in particolare quale possa essere la reale utilità delle prestazioni addizionali offerte dai differenti dispositivi indossabili e quindi la possibilità di un interesse non effimero da parte dei consumatori. Detto questo, l’impostazione di Google mi sembra piuttosto intelligente: puntare sull’“esercito” di persone costrette a portare permanentemente gli occhiali, destinato a ingrossarsi nei prossimi anni (Luxottica parla di mezzo miliardo di nuovi “consumatori” nei paesi che stanno emergendo dalla povertà); puntare sul fatto che molti di questi occhiali devono essere fatti su misura e che quindi esiste una naturale potenzialità di personalizzazione anche delle prestazioni di realtà aumentata. Gli occhiali da vista, sviluppati fra il ‘200 e il  ‘300 e passati progressivamente alla foggia attuale “con stanghette” a partire nel ‘700, potrebbero cioè dopo tanti secoli almeno in parte trasformarsi in oggetti diversi, con una componente significativa di servizi online al loro interno, con riflessi non piccoli sulla competizione e sulle imprese operanti nel comparto.

Le nuove modalità di raccolta da parte delle associazioni di beneficenza e lo sviluppo di una nuova concezione degli occhiali da vista – un fatto di rilevanza ridotta ma già in atto il primo, potenzialmente molto più consistente ma ancora in fieri il secondo – sono tipici esempi degli scossoni che possono essere generati in molti comparti dell’economia dalla (già citata) combinazione “dispositivi mobili (smartphone e tablet) + app + cloud computing + broadband”.

Un fenomeno affascinante, ma per certi versi terrificante, ben descritto da Larry Downes e Paul Nunes nel loro nuovo libro dal titolo estremamente significativo: Big Bang Disruption: Strategy in the Age of Devastating Innovation”.

Un fenomeno che ha già fatto molto vittime: le macchine fotografiche digitali compatte, i navigatori portatili e le console portatili per videogiochi, in caduta libera perché colpite dalla concorrenza (involontaria) degli smartphone; gli orologi, già ampiamenti sostituiti dai cellulari nella funzione di “misuratori del tempo”, che sopravvivono sostanziamente come oggetti di lusso e/o di moda; i quotidiani e i periodici, che hanno grosse difficoltà a recuperare via web o mobile la caduta – nelle copie vendute e nella pubblicità – del cartaceo e che trascinano nella caduta le edicole; le librerie (negli US è fallita la seconda catena del Paese ed è in difficoltà la prima), a causa prima dello sviluppo impetuoso del canale alternativo dell’ecommerce e poi della nascita dell’ebook; l’industria discografica, all’inizio a causa della pirateria e ora per gli alti margini che deve concedere agli OTT per il download e più di recente per lo streaming;  l’industria cinematografica, per ragioni simili; in prospettiva il sistema dei pagamenti come strutturato attualmente; e non solo.

*Umberto Bertelè presiede l’Advisory Board di ICT4Executive ed è ordinario di Strategia e sistemi di pianificazione al Politecnico di Milano. È autore del libro “Strategia”

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