La Corporate Social Responsibility (CSR), o responsabilità sociale d’impresa, è diventata così rilevante da essere sbandierata come priorità nelle strategie delle principali corporation globali. Se questo avveniva già prima della pandemia del Coronavirus, ora l’emergenza sta mettendo in luce l’urgenza di un cambio di passo.
Un messaggio forte e chiaro, che i top manager delle grandi multinazionali mostrano di condividere: nelle intenzioni, appare ineludibile che in futuro il focus sarà sempre più verso scelte di business orientate a obiettivi di sostenibilità, sintetizzati nell’acronimo ESG (environmental, social, and corporate governance), come unica strategia in grado di dare nuova spinta al business per uscire dalla crisi economica.
Dall’impostazione classica di Friedman alla “scoperta” dell’etica d’impresa
Già ad agosto del 2019 un nutrito numero di Ceo delle multinazionali statunitensi più influenti del pianeta, riuniti nella Business Roundtable, aveva dichiarato di voler cambiare completamente il paradigma fondativo delle proprie aziende.
L’impostazione classica, alla Milton Friedman, che definisce la ragion d’essere di un’impresa nella capacità di generare guadagno, è oggi capovolta a favore di una visione orientata a condividere il valore generato dal business con la società civile, gli individui e l’ambiente.
I CEO di aziende come Cisco Systems, Ibm, Apple, Amazon, Walmart, JP Morgan Chase, General Motors, Boeing avevano deciso di togliersi d’impaccio programmaticamente, con una dichiarazione pubblica d’intenti che cancellava ogni dubbio.
Stabiliva, infatti, che non si fa business se non c’è etica, il valore prodotto non può rimanere solo agli azionisti, deve permeare chiunque contribuisca a produrlo, dipendenti e clienti insieme a tutta la società e al territorio che abita, ovvero tutti gli stakeholder. È giunto il tempo della creazione di valore condiviso.
Dichiarazione non finanziaria, rendicontare i KPI ambientali e sociali. Clicca sull’immagine per approfondire
Cos’è la Corporate Social Responsibility
È esattamente questo l’ambito di pertinenza della CSR, la Corporate Social Responsibility aziendale, come viene ufficialmente definita nel 2001 dalla Comunità Europea: «l’integrazione su base volontaria, da parte delle imprese, delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate».
In un mercato globale il concetto di stakeholder è anch’esso di portata mondiale, e non c’è ambito d’impresa oggi che non debba curare la propria reputazione agli occhi dei cittadini. Soprattutto se i cittadini diventano sempre più consapevoli e sensibili al tema della sostenibilità, economica e ambientale, anche nelle proprie scelte di consumo.
La nuova normativa UE: Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD)
Il 5 gennaio 2023 è entrata in vigore la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), che rafforza le regole relative alla rendicontazione e alla comunicazione della responsabilità sociale superando i limiti della precedente Direttiva 95/2014 – Direttiva sulla Rendicontazione Non Finanziaria (NFRD).
La normativa amplia la platea delle aziende tenute a rendicontare il proprio impegno negli ambiti sociale e ambientale.
Gli standard ESRS
Le nuove regole assicurano che gli investitori e le altre parti interessate abbiano accesso alle informazioni di cui hanno bisogno per valutare correttamente i rischi relativi ai propri investimenti.
Permetteranno, inoltre, di creare una cultura della trasparenza sull’impatto sul business di diversi fattori con particolare riguardo a:
- Questioni ambientali
- Questioni sociali e trattamento dei dipendenti
- Rispetto dei diritti umani
- Contrasto a corruzione e concussione
- Diversità nella composizione dei consigli di amministrazione (in termini di età, genere, formazione e background professionale)
Questi obblighi di segnalazione si applicano alle grandi aziende di interesse pubblico con più di 500 dipendenti, alle banche, assicurazioni e società quotate di qualsiasi dimensione (eccezion fatta per le micro imprese) – ovvero circa 50mila imprese e gruppi in tutta l’UE, contro le 11.700 vincolate alla rendicontazione dalla NFRD.
La CSRD verrà applicata a partire dall’esercizio 2024 per i bilanci pubblicati nel 2025.
Le aziende soggette al CSRD dovranno rendicontare in aderenza agli European Sustainability Reporting Standards (ESRS), sviluppati dell’EFRAG, precedentemente noto come European Financial Reporting Advisory Group.
Responsabilità sociale d’impresa, la Piramide di Carroll
Ma di cosa si tratta esattamente e come si fa oggi la CSR? Il concetto si fa risalire al 1953 e al libro di Howard R. Bowen “Social Responsibility of Businessman” il quale si chiede quali responsabilità verso la società sia lecito aspettarsi da chi dirige un’impresa.
Le definizioni di CSR nel corso degli anni si sono moltiplicate ma tra le più popolari c’è quella di Archie B. Carrol con la sua piramide della CSR elaborata nel 1991 e ancora oggi tra le più accreditate, almeno fino alla dichiarazione sottoscritta in agosto dai 181 amministratori delegati statunitensi.
Carrol non nega l’assunto di Friedman, infatti il profitto rimane alla base della piramide delle quattro responsabilità del business, inteso però in un’ottica di lungo periodo.
Al secondo gradino c’è il dovere da parte dell’impresa di rispettare leggi e norme, dal diritto del lavoro alla salute pubblica. Ancora sopra, l’etica, intesa come un’operosità che sottende la morale e in questo senso va anche oltre le leggi scritte, per esempio attraverso una maggior attenzione ai rapporti con clienti e fornitori.
Diversity e inclusione
In cima alla piramide di Carrol c’è la responsabilità filantropica, la CSR, ovvero l’impegno a restituire alla società il valore che si ricava dal business. Si tratta però di azioni volontarie e non obbligatorie, anche se ne viene riconosciuta l’importanza.
Si parla più che altro di volontariato aziendale e donazioni (tipicamente donare parte del ricavato), mentre oggi il concetto di Corporate Social Responsibility aziendale è molto più ampio. Coinvolge ogni aspetto della vita aziendale, anche il clima lavorativo, la parità di genere e la diversity, per citare due temi d’attualità, quindi ciò che accade in azienda e fuori dall’azienda, con uno sguardo che va ben oltre il breve termine proiettando l’impresa avanti nel futuro e riflettendo sul futuro, cosa rimarrà alle prossime generazioni. Una questione di sopravvivenza, se si pensa all’ambiente e al riscaldamento globale, ma anche d’immagine, molto importante in una società totalmente connessa e sempre più “social”.
Report CSR, chi sono le aziende che rendicontano il loro impegno
La nuova Direttiva UE di fatto coglie il trend generale di interesse da parte dei consumatori, l’attenzione della stampa e dei social verso i comportamenti etici di chi fa business.
Prime tra tutte le imprese con brand consumer, a diretto contatto con le persone, dalla moda all’alimentare, per esempio Johnson & Johnson, Unilever, Nestlè, Coca Cola, Ferrero, e quelle dalle quali, per definizione, ci si aspetta un comportamento più che etico, come le associazioni di consumatori, in Italia la Coop.
Di fatto già nel 2017, secondo una recente indagine KPMG, a redigere un report CSR era il 75% delle aziende multinazionali, mentre oggi la percentuale tocca l’80%. E questo perché numerosi studi hanno evidenziato la stretta relazione tra CSR e le performance finanziarie delle aziende – si pensi soprattutto a quelle quotate in borsa e alle scelte degli investitori o dei fondi d’investimento, oggi sempre più orientati all’etica.
L’Italia come guida
Va detto che l’Italia è tra i pionieri nella CSR poiché la legge 254/2016 imponeva già l’obbligo dell’inserimento nel bilancio appunto per le aziende quotate in borsa. L’edizione 2023 dell’Osservatorio Socialis conferma il fatto che la responsabilità sociale dell’impresa è diventata quasi un obbligo, visto che il 96% delle aziende italiane sostiene di aver speso quasi 300mila euro all’anno (282mila euro) in attività di Corporate Social Responsibility (CSR), per un totale nazionale di 2,16 miliardi di euro.
Esiste anche un Integrated Governance Index che, nella sua ultima versione, ha analizzato 74 aziende valutandone l’integrazione tra tutti i fattori ESG (Environmental Social Governance), ovvero ambientali, sociali e di governance, e tutte le forme di creazione del valore di un’azienda, ovvero finanziario, manifatturiero, sociale e relazionale, naturale, umano e intellettuale, nella strategia di sviluppo. Sul podio ci sono Poste Italiane, in prima posizione, seguita da Eni e Generali (seconda posizione a pari merito) e da Enel e Snam (quarta posizione a pari merito). Hera si conferma al primo posto nell’area Finanza, che analizza i legami tra azienda e investitori responsabili.
La sostenibilità passa anche dall’innovazione tecnologica
Che l’innovazione possa rappresentare una strada per giungere a più alti obiettivi di sostenibilità ambientale, sociale e economica è abbastanza chiaro a tutti, persino ai governi centrali che sulla digitalizzazione stanno investendo gran parte dei fondi destinati alla sviluppo di un futuro più equo e circolare.
Ecco perché si moltiplicano i progetti che mirano a far acquisire e diffondere le competenze digitali legate all’innovazione, parallelamente alla consapevolezza del ruolo della tecnologia come abilitatore di innovazione per risolvere problemi sociali.
Comunicare nel modo corretto l’impegno sociale
Al marketing e agli esperti di comunicazione resta il difficile – ma importantissimo – compito di comunicare la Corporate Social Responsibility in maniera adeguata, senza essere autocelebrativi o suonare falsi con campagne di comunicazione e sponsorizzazioni con toni eccessivi. Occorre una strategia ad hoc, magari pensando a diversi gradi di coinvolgimento del brand aziendale nelle attività di CSR, in base al tipo di business e agli obiettivi prefissati.
Alcuni infatti scelgono di separare completamente business e CSR e di non utilizzare gli investimenti per il sociale nelle campagne di marketing, per non correre il rischio di essere accusati di socialwashing o greenwashing, in sostanza, di una sostenibilità di facciata.
Oggi tutti questi parametri sono misurabili in maniera oggettiva, come anche la reputation dei brand, dunque chi deve prendere le decisioni ha tutti gli strumenti a disposizione.
La trappola del Greenwashing: quando la sostenibilità è solo di facciata. Clicca sull’immagine per approfondire
L’unica certezza è che senza “responsabilità” non si può più fare business e il tema pressante del cambiamento climatico ha accelerato, per tutti, il tempo della consapevolezza e delle scelte dirimenti. Le nuove generazioni ci guardano e non ci sono margini d’errore, non possiamo sbagliare.
Fa bene ricordare, in chiusura, che i padri costituenti italiani ritenevano così importante il tema da averlo inserito in un apposito articolo, l’articolo 41, che recita “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.”