Il responsabile della logistica, oggi più che mai, è uno degli attori chiamati a sostenere la crescita del business. Ma il percorso per acquisire questa consapevolezza è ancora in atto e non capita spesso di sentire, durante le riunioni del board, che la crescita del business e il miglioramento dei risultati passano anche dalle attività più operative, a partire dalla gestione della catena logistica. Quando si chiamano in causa il Supply Chain Manager e il Chief Operating Officer, per lo più i temi affrontati riguardano il raggiungimento della massima efficienza esprimibile dall’organizzazione e, in ultima analisi, il taglio progressivo dei costi superflui. Una dimensione che, secondo Accenture potrebbe cambiare – e per certi versi sta già cambiando – radicalmente. Secondo i dati in possesso della società di consulenza, che ha pubblicato una ricerca dal titolo “The mover becomes the shaker, from inventory to influencer” – che ha coinvolto oltre 1300 executive di aziende con un fatturato superiore al milione di dollari – lo scenario si sta infatti cominciando a evolvere se si guarda a quello che sta accadendo nelle aziende definite ‘leader’, ovvero le aziende che hanno ottenuto un ritorno sugli investimenti digitali superiore al rendimento medio del settore rispetto ai capitali digitali. I leader si contrappongono alle “laggard”, le aziende ritardatarie che hanno registrato registrato ritorni sugli investimenti digitali minori rispetto alla media o più bassi del 50% rispetto al loro digital proof of concepts. Per Accenture, i leader attualmente rappresentano il 22% del mercato analizzato e si contraddistinguono per una forte spinta all’adozione di tecnologie digitali. Soluzioni capaci di fare la differenza anche rispetto ai tradizionali processi legati alla supply chain, che nelle imprese più aperte al cambiamento hanno per l’appunto la facoltà di trasformarsi in veri motori per la crescita.
I 3 fattori che rendono un’azienda capace di recepire i cambiamenti
Sono tre le caratteristiche che, stando allo studio, denotano l’apertura delle imprese leader.
In primis, i manager delle aziende Leader non si limitano a comprare soluzioni e architetture, bensì le costruiscono, acquisendo più che altro il concetto di impresa digitale e applicandolo prima di ogni altra cosa allo sviluppo e alla riqualificazione delle competenze della forza lavoro, oltre che al miglioramento costante della user experience dei clienti.
La customer centricity è l’altro elemento fondamentale per poter definire un’organizzazione all’avanguardia: il motivo per cui il responsabile della logistica oggi ha la concreta possibilità di contare di più nelle decisioni strategiche è che, una strategia che pone come obiettivo primario la soddisfazione del cliente, implica uno sforzo congiunto e corale di tutte le divisioni aziendali, il cui coordinamento è possibile solo nel momento in cui le funzioni e i task non vengono più considerati come compartimenti stagni, risiedenti ognuno nel suo silos, ma come componenti complementari di un flusso lungo cui l’intera organizzazione si muove per comprendere e raggiungere i propri interlocutori.
Il terzo punto, strettamente imparentato con il secondo, ha a che fare con la capacità di orchestrare gli ecosistemi. Il 78% delle imprese Leader, secondo Accenture, ha già avviato piani di open innovation e co-creation, che coinvolgono attori come università, partner tecnologici, incubatori, startup, consulenti esterni. Attività queste che non possono prescindere dall’ottimizzazione della supply chain e dei meccanismi che regolano ciascun punto di contatto con l’esterno.
Essere proattivo, così il responsabile della logistica cambia le regole del gioco con i dati alla mano
Oggi è necessario che il responsabile della supply chain e delle operation facciano loro il concetto di “digital enterprise”. Sono loro, infatti, ad avere il compito di costruire un sistema, che usi l’innovazione digitale per alimentare la crescita di business. Nell’analisi dedicata da Accenture al nuovo ruolo del responsabile della logistica ci sarebbe in realtà un quarto fattore che fa di un team un pool di innovatori: chi intende cambiare le regole del gioco non deve aspettare che sia il CEO a fare una richiesta, ma deve proporre idee, progetti, azioni in modo proattivo.
Ma come? Innanzitutto investendo nell’intelligenza, basata su una sempre più profonda integrazione tra uomo e macchina, una forza lavoro ibrida che può dare vita a una nuova generazione di servizi e prodotti orientati, inizialmente, ai clienti di maggior valore. Alla base di questa trasformazione c’è naturalmente l’analisi dei dati, che consente agli operatori di conoscere meglio contesti e strumenti, e di armonizzarli per perfezionare l’esecuzione dei processi. Non è un caso che l’80% delle cosiddette aziende leader abbia investito in soluzioni di Big Data Analytics, contro il 68% delle imprese meno evolute.
Se l’utilizzo dell’intelligenza è il primo tassello di questo processo di crescita, il secondo è la creazione di una nuova workforce: le macchine sono dei validi collaboratori e per riuscire a creare una migliore sinergia con l’uomo è necessario ipotizzare dei percorsi di upskilling e reskilling, con l’obiettivo di liberare il loro tempo per fare le cose che gli riescono meglio: creare, innovare e risolvere problemi.
Infine, è importante non creare delle soluzioni tecnologiche one-off, che gestiscano solo parzialmente il processo.
Si tratta, in estrema sintesi, di avere una conoscenza profonda dei sistemi; conoscenza che in pratica consente un rapido ritorno sugli investimenti superiore a quello atteso (nel caso dei leader si parla del 25% contro il 21,6% ipotizzato), dettato dalla maggiore accessibilità a piani estesi di automazione e soprattutto dalla scalabilità delle tecnologie adottate. Questo non vale per chi invece rimane indietro rispetto al digitale, se il tasso di ritorno ipotizzato è in media dell’ 8,1% (già considerevolmente più basso rispetto a quello dei leader), quello effettivamente riscontato non supera il 7,2%.