Gli ostacoli all’attuazione dell’Agenda sono rilevanti. Alcuni sono legati alla carenza di risorse, ma la maggior parte di essi nasce dall’inerzia, figlia della scarsa consapevolezza, e dalla resistenza al cambiamento di chi – in un sistema più ordinato e trasparente – teme (soprattutto nell’ambito della PA) di perdere il potere che gli deriva dall’enorme discrezionalità o teme (nell’ambito delle imprese e/o delle persone) di non disporre più di facili vie di fuga dal fisco e dagli obblighi previdenziali.
Così come altri ostacoli, per il momento sottotraccia, potrebbero nascere da forme di neo-luddismo. Un’Agenda Digitale applicata seriamente avrebbe probabilmente nella fase iniziale, prima del manifestarsi dei vantaggi, conseguenze occupazionali negative: perché metterebbe in luce l’inconsistenza di molte posizioni di lavoro, in particolare nella PA, con problemi non facili (e spesso insolubili) di ricollocazione delle persone; perché comunque permetterebbe di accrescere sensibilmente i livelli di attività senza aumentare il numero di dipendenti o addirittura riducendo il turnover; perché potrebbe accentuare il fenomeno di sottoccupazione, ben visibile ad esempio nel sistema bancario, indotto dal ricorso alle nuove tecnologie; perché, favorendo una maggiore equità fiscale e previdenziale (obiettivo di grande rilevanza sociale ed economica), potrebbe mettere fuori mercato – come in parte già accaduto in questi anni – una serie di imprese marginali che sopravvivevano solamente grazie al risparmio sugli oneri fiscali e previdenziali.
Immaginando di superare gli ostacoli, come si possono sfruttare i vantaggi citati? Una considerazione preliminare importante è che i risparmi hanno un significato diverso per un’impresa o per un Paese come l’Italia. Per un’impresa i risparmi si traducono in minori costi e maggiori profitti. Per un Paese, al di là di qualche variazione negli scambi con l’estero, quelli che sono vantaggi realizzati per la PA o per le imprese si traducono – in prima battuta – in sottrazione di risorse disponibili per le famiglie (a causa ad esempio della minore disponibilità di posti di lavoro) o per le imprese fornitrici: le maggiori entrate fiscali, quantificate in 15 miliardi di euro, si traducono ad esempio in una minore disponibilità di spesa (di dimensione equivalente) per le famiglie.
È estremamente importante, quindi, l’uso che si fa dei risparmi ottenuti eliminando spese improduttive: se i 15 miliardi di maggiori entrate fossero ad esempio utilizzati per accrescere voci altrettanto improduttive della spesa pubblica, i vantaggi sarebbero completamente vanificati.