Management

Global Supply Chain, serve un nuovo approccio

La corretta gestione della Supply Chain estesa, sempre più globalizzata e virtualizzata, si sta rivelando in molti casi una importante sorgente di vantaggio (o svantaggio) competitivo. In un contesto instabile e complesso come quello attuale, alle imprese è richiesto di far evolvere la strategia, sviluppando maggiore capacità di ascolto e reazione su quanto succede a valle e a monte della filiera logistico-produttiva

Pubblicato il 04 Lug 2013

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L’evoluzione che ha caratterizzato il contesto competitivo degli ultimi decenni – sempre più instabile e complesso – si è tradotta in una maggiore attenzione alla gestione delle attività esterne al sistema produttivo (a monte e a valle), spostando il focus dalla tradizionale gestione dell’organizzazione interna alla gestione dei processi nella cosiddetta Supply Chain estesa.

Negli ultimi anni, in quasi tutti i settori industriali, si è assistito inoltre a un’estensione delle Supply Chain al di fuori dei confini nazionali o continentali. Sono oramai remoti i casi di aziende che non si approvvigionano su scala globale, oppure che non hanno sedi produttive decentrate e, soprattutto, che non distribuiscono i propri prodotti o erogano i propri servizi su scala internazionale. Le Supply Chain sono anche sempre più “virtualizzate” nel senso che il leader di filiera controlla direttamente una porzione sempre più limitata della “sua” Supply Chain. In questi casi, la profittabilità delle aziende leader di filiera dipende sempre più dalla loro capacità di gestire ecosistemi complessi senza averne un controllo diretto.

Tra i fattori principali alla base di questo cambio di prospettiva si possono citare:

• l’evoluzione dei consumatori, sempre più esigenti e consapevoli, e la tendenza generale del mercato verso un sempre più marcato orientamento al cliente, che porta a competere sia sulla varietà offerta, sia su tempi di risposta, puntualità, frequenze di consegna;
• la globalizzazione dei mercati, intesa in primo luogo come necessità di servire un mercato sempre più vasto, “globale”, ma in cui emergono particolarità locali che non possono essere trascurate;
• la delocalizzazione produttiva e del mercato di fornitura, non solo con l’obiettivo di avvicinarsi al mercato di vendita ma anche come conseguenza della pressione sulla riduzione dei costi, che porta a cercare materiali e manodopera a basso costo;
• le scelte di outsourcing, che consistono nella delega di attività (spesso considerate non-core) per raggiungere diversi obiettivi: concentrarsi sulle attività più strategiche, appoggiarsi a società specializzate oppure ridurre i costi di prodotto;
• la crescente incertezza che caratterizza – in parte come conseguenza dei fattori appena citati – sia la domanda del mercato che il fronte della fornitura, rendendo più ardue le attività di pianificazione.

I problemi indotti dalla globalizzazione della Supply Chain richiedono un “approccio sistemico” alla gestione dell’intero flusso di informazioni, materiali e servizi, dalle materie prime provenienti dai fornitori, via via lungo le fabbriche e i magazzini, in cui la sequenza degli eventi ha come unico scopo quello di servire il cliente finale al meglio e al minor costo possibile per il sistema.

Le tipologie di Supply Chain “globali”
L’approccio sistemico richiede in primo luogo la definizione di una chiara strategia di Supply Chain e, per alcune aziende, le scelte fatte in questo ambito sono diventate la chiave per conseguire importanti vantaggi competitivi rispetto ai concorrenti. Tra i casi più famosi si possono citare Dell e Zara.

• Dell si è guadagnata un ruolo di leader nell’industria dei computer portatili proprio proponendo un modello di Supply Chain innovativo (rispetto al periodo in cui l’ha introdotto): esso consiste nell’accorciare il lato più a valle della Supply Chain, eliminando i passaggi intermedi tra l’azienda e il consumatore (distribuzione e vendita al dettaglio); Dell acquisisce gli ordini direttamente dai clienti finali, assembla il prodotto secondo le specifiche richieste e spedisce al cliente il prodotto finito. In questo modo il cliente può scegliere i componenti più aggiornati, personalizzare il computer secondo le proprie esigenze, riceverlo in tempi molto più brevi ed ad un prezzo più conveniente rispetto all’acquisto nei punti di vendita tradizionali.
• Zara nel suo momento di massimo successo si è imposta nel mondo dell’abbigliamento facendo della velocità il proprio fattore critico di successo. La sua Supply Chain è infatti molto reattiva rispetto alla domanda del mercato: i punti vendita sono dotati delle tecnologie per comunicare quotidianamente l’evoluzione del mercato alla sede centrale, il processo di sviluppo della collezione si svolge in tempi molto brevi, l’assortimento al dettaglio è definito sulla base dei dati di domanda raccolti dal singolo punto vendita, la produzione viene lanciata “al più tardi” ed è spesso localizzata in paesi geograficamente vicini alle zone di vendita in modo da ridurre al minimo i tempi di consegna.

Dall’evidente differenza tra queste due aziende emerge un elemento importante: non solo è necessaria una strategia di Supply Chain, ma tale strategia non può seguire un modello generale valido per tutti; al contrario, occorre saper scegliere la corretta strategia di Supply Chain in relazione alle caratteristiche del prodotto realizzato e del mercato a cui ci si rivolge. Numerosi sono i possibili modelli di Supply Chain che soddisfano differenti strategie. Nella figura sono rappresentate alcune delle combinazioni ottenibili incrociando differenti dimensioni di globalizzazione:

• è possibile ricorrere a fornitori che possono avere una focalizzazione locale o globale;
• è possibile delocalizzare le fasi di produzione del prodotto piuttosto che non concentrarle in unico paese;
• è possibile per ogni unità produttiva avere un mercato di sbocco locale (cioè limitato all’area geografica in cui sono realizzate le fasi produttive) o globale.

Le strategie di Supply Chain: riduzione dei costi o sviluppo di nuovi mercati?
Cosa spinge aziende, anche operanti nello stesso settore (ad esempio Candy, Indesit e Whirlpool), ad adottare “forme” di globalizzazioni differenti?

L’idea che non esista un approccio generalmente valido in qualsiasi caso si poggia sulla considerazione che ogni Supply Chain deve affrontare le proprie specifiche priorità competitive, che risentono – oltre che di quanto indicato come linea guida nella più ampia strategia aziendale (ad esempio la ricerca di competizione attraverso una riduzione del costo piuttosto che non la ricerca di diversificazione dei mercati serviti) – anche delle caratteristiche strutturali del prodotto, delle esigenze del mercato di sbocco e dei vincoli strutturali, legati – per esempio – al mercato di fornitura, alle distanze, alle infrastrutture.

Volendo fornire una chiave di lettura necessariamente semplificata delle differenti tipologie di Global Supply Chain, è possibile da un lato ricondursi alla motivazione strategica alla globalizzazione (ricerca di basso costo o sviluppo di nuovi mercati), dall’altra al contesto competitivo in cui la Supply Chain globalizzata si trova ad operare (semplificando: domanda esuberante rispetto alla capacità produttiva piuttosto che non situazioni di domanda alienata o anche insaturazione strutturale della capacità produttiva installata).

La prima motivazione giustifica la tipologia di globalizzazione: la ricerca di bassi costi sposta l’attenzione sui processi di source e di make, che vengono configurati di conseguenza in accordo all’obiettivo del basso costo (localizzazione guidata dalla ricerca di economie di scala e di esperienza o di fattori produttivi a basso costo). La seconda sposta l’attenzione molto più sui processi di delivery (ricerca di reti distributive e canali di vendita efficaci). Ovviamente nella realtà questi fattori possono coesistere: la Cina ad esempio presenta numerosi casi di aziende italiane che hanno perseguito con successo entrambi gli obiettivi. Ad esempio, Ariston Thermo è riuscita a creare un sistema di fornitura locale competitivo utilizzato anche da stabilimenti di altri continenti e, nel contempo, a sviluppare in loco prodotti innovativi specificatamente destinati al mercato cinese; Fiat dopo anni di difficoltà ha rilanciato la sua presenza sul mercato cinese attraverso una joint venture industriale che produce vetture in Cina (Fiat Viaggio) basate su una piattaforma derivata dalla Giulietta, ma localizzate per i gusti del consumatore cinese e, nel contempo, distribuisce i prodotti dei vari brand del Gruppo (ad esempio Jeep) prodotti negli stabilimenti localizzati in Europa o nelle Americhe.

Il contesto competitivo – inteso come rapporto tra domanda e capacità – influenza invece la configurazione strutturale della Supply Chain in termini di integrazione e scala delle varie unità produttive. Le scelte di integrazione verticale e grande dimensione degli anni ’60 sono tipiche anche oggi delle economie in via di sviluppo e caratterizzano di fatto tutti i contesti in cui la domanda è strutturalmente superiore alla capacità produttiva. Questa configurazione ovviamente si coniuga con entrambe le motivazioni (costo e mercato) anche se normalmente ricorre più spesso nei casi di globalizzazione orientata alla ricerca di riduzione di costi (in sintesi: realizzazione di grandi impianti integrati in paesi a basso costo dei fattori produttivi). È evidente come questa situazione cambi drasticamente nel momento in cui la domanda si stabilizza su valori allineati o inferiori alla capacità e quindi diventa fondamentale identificare le prestazioni che permettano di “competere” al meglio e di conseguenza la topologia stessa della Supply Chain globalizzata assume forme differenti in funzione dell’obiettivo strategico generale (costo o mercato).

Impianti di grande scala molto automatizzati e riduzione del livello di integrazione verticale attraverso l’outsourcing (in paesi a basso costo dei fattori di produzione) sono la configurazione tipica delle Supply Chain che competono sul costo, mentre la de-verticalizzazione con la contestuale ricerca di flessibilità attraverso la parcellizzazione della capacità produttiva (unità più piccole e flessibili, caratterizzate spesso da un minor livello di automazione) guidano la configurazione delle Supply Chain progettate per sviluppare nuovi mercati.

Le strategie di Supply Chain Management: efficienza o agilità?
Di fatto oggi le Supply Chain globalizzate sono spesso caratterizzate da una doppia variabilità: incertezza lato domanda e incertezza lato fornitura. L’incertezza lato domanda è enfatizzata da prodotti che, soprattutto nel caso di sviluppo di nuovi mercati, sono portatori di un contenuto di stile o di tecnologia che dà ai clienti una ragione in più – al di là della pura funzione a cui l’oggetto risponde – per acquistarli. Questi oggetti sono caratterizzati da una maggiore varietà rispetto ai prodotti “funzionali”, hanno un ciclo di vita relativamente breve e, di conseguenza, un rischio di obsolescenza maggiore; la domanda è variabile e difficile da prevedere; i margini sono più alti, così come è maggiore il costo di mantenimento a scorta. Nel contempo è spesso elevata anche l’incertezza lato fornitura: i processi dei fornitori sono spesso in evoluzione, quando non anche il proprio processo produttivo e la relativa tecnologia sono ancora in fase di sviluppo; l’affidabilità complessiva è bassa, perché spesso sono ancora in corso interventi di innovazione di processo. Ciò porta facilmente ad una situazione in cui il numero di potenziali fornitori è relativamente basso, i vincoli di capacità incidono su volumi e tempi, il rendimento variabile dei processi e la presenza di potenziali problemi qualitativi diventa un’ulteriore fonte di imprevedibilità.

In condizioni di elevata incertezza deve conseguentemente cambiare l’approccio alla strategia di configurazione e gestione delle Supply Chain: da un approccio cosiddetto “lean” – orientato alla massima efficienza – ad approcci cosiddetti “responsive” o “agile” – orientati alla gestione del rischio grazie a elevata reattività e riconfigurabilità.

In questi approcci, le prassi gestionali non guardano tanto ai costi logistici, quanto a garantire ottime prestazioni di consegna (in termini di tempi e accuratezza), così come ad evitare le situazione di stock-out tanto quanto gli eccessi di produzione. Diventa fondamentale disporre di dati puntuali sull’andamento di vendite e avanzamenti di produzione e approvvigionamenti ed è necessario saper leggere tutti i segnali del mercato, per poter reagire prontamente ai cambiamenti. Le decisioni critiche non riguardano l’efficienza (minimizzazione dei costi), ma piuttosto l’efficacia del sistema: deve essere messa a disposizione capacità produttiva in eccesso, occorre scegliere il punto più adatto dove collocare le scorte di filiera, i fornitori devono essere selezionati in base alla loro reattività e flessibilità e si accettano ridondanze per minimizzare i rischi di mancata fornitura.

In questa sfida un ruolo chiave è giocato dal grado di visibilità che il leader di filiera ha sulle principali informazioni e prestazioni dell’ecosistema di cui è guida. Una recente indagine che abbiamo condotto al Politecnico di Milano interpellando i Direttori delle Operations/ Supply Chain di importanti aziende multinazionali in vari settori ha evidenziato come vi sia una imbarazzante “opacità” nella conoscenza delle proprie Supply Chain. La “visibilità” sui fornitori o clienti di secondo livello – ossia quelli intermediati dal primo livello – è sostanzialmente nulla. Ma anche la visibilità su fornitori/ clienti di primo livello è spesso carente di informazioni “utili” e “fresche”. La visibilità sui propri partner di filiera – in Supply Chain globali e “virtualizzate” – è infatti un valore fondamentale, senza del quale la eccessiva dipendenza da terzi rende la gestione di impresa un gioco d’azzardo o, usando un’altra metafora, una guida senza controllo.

Sintesi
La nostra tesi di fondo è quindi chiara. La gestione della “propria” Supply Chain estesa è sempre più spesso una importante sorgente di vantaggio (o svantaggio) competitivo. La Supply Chain presenta sempre più caratteristiche di globalizzazione (in una delle forme presentate in figura 1), di virtualizzazione (o terziarizzazione) e di conseguente crescita dell’incertezza nella domanda o nei processi di produzione e approvvigionamento. Gli approcci alla strategia di configurazione e gestione della Supply Chain devono dunque evolvere dalla sola massimizzazione dell’efficienza alla considerazione dei profili di rischio che spostano l’attenzione verso modelli più orientati alla flessibilità e alla capacità di rapido adattamento. Cioè “meno modelli di ottimizzazione” in contesti statici e “un po’ più di visibilità” (capacità di ascolto e reazione) su quanto succede nella Supply Chain a valle e a monte.

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