Data protection

Digital trust in calo: i consumatori italiani si fidano poco a rilasciare i dati personali alle aziende

Secondo uno studio di Frost & Sullivan, la fiducia dei consumatori italiani sulla capacità delle organizzazioni di proteggere i loro dati è al minimo. E hanno motivo di crederlo: il 70% delle aziende italiane ammette di utilizzare internamente i dati degli utenti, mentre il 53% addirittura di venderli ad altre organizzazioni

Pubblicato il 09 Ott 2018

cybersecurity

In uno scenario dove i dati acquistano sempre maggiore importanza per il business, crolla il Digital trust, la fiducia digitale. Si scopre che c’è un divario significativo tra la fiducia digitale effettiva dei consumatori e la percezione delle aziende italiane. A rivelarlo è una recente indagine internazionale condotta da Frost & SullivanCA Technologies che ha coinvolto 990 utenti consumer, 336 esperti di sicurezza informatica e 324 dirigenti aziendali di alto livello in 10 Paesi.

Ma cos’è la fiducia digitale? Secondo Jarad CarletonIndustry Principal Cybersecurity presso Frost & Sullivan “la fiducia riposta in un’organizzazione per raccogliere, archiviare e utilizzare le informazioni digitali degli altri in modo da avvantaggiare e proteggere coloro a cui appartengono le informazioni”.

Navigando sempre più spesso online, gli utenti consumer offrono inevitabilmente alle aziende l’accesso a una grande mole di dati personali. Se le organizzazioni non prestano fin da subito maggiore attenzione nel tutelare questi dati o nell’impedire che finiscano in mani sbagliate, la fiducia digitale potrebbe svanire presto e con gravi ripercussioni per le aziende.

Frost & Sullivan ha elaborato il Digital Trust Index, una serie di metriche che misurano i fattori chiave sul concetto di fiducia digitale: la disponibilità dei consumatori a condividere i propri dati personali, la  convinzione che le aziende proteggano tali dati e infine la misura in cui gli utenti ritengono che le aziende vendano i dati personali ad altre aziende.

Il risultato è una scala variabile, dove 1 sta per “assenza di fiducia” e 100 per “fiducia totale”.

Il Digital Trust Index degli consumatori italiani risulta di 57 punti su 100, inferiore a quello americano e del resto d’Europa. Ciò lascia pensare che gli utenti consumer italiani si fidino poco delle organizzazioni quando si tratta di proteggere i propri dati digitali.

Al contrario, gli specialisti di cybersecurity e i dirigenti aziendali italiani totalizzano una media di 76 punti nel Digital Trust Index. Si tratta di un differenza notevole fra la fiducia percepita e la fiducia provata dagli utenti consumer, la più alta registrata a livello internazionale.

Tuttavia, questa percezione si scontra con il fatto che il 64% dei consumatori italiani sono disposti a fornire alle aziende i propri dati personali in cambio di servizi gratuiti o scontati e che anche qui l’Italia registra una percentuale più alta di qualsiasi altro Paese al mondo.

È fondamentale che le imprese diano la precedenza alla privacy e alla security, per esempio limitando le policy vigenti sulla condivisione dei dati degli utenti, riducendo gli accessi degli utenti privilegiati o semplicemente attuando migliori controlli.

Questo non solo per non incorrere in gravi conseguenze, ma anche per evitare che i consumatori perdano totalmente la fiducia digitale. Infatti, ben il 70% delle organizzazioni italiane ammette di utilizzare internamente i dati degli utenti, mentre il 53% dei dirigenti aziendali ammette inoltre che la propria azienda li vende ad altri organismi. Eppure, solo il 20% degli esperti italiani di cybersecurity ha affermato di essere a conoscenza della vendita dei dati personali da parte della loro azienda.

È necessaria una maggiore trasparenza sulle procedure di tutela dei dati: il 68% degli utenti consumer e il 97% delle organizzazioni italiane concorda che la fiducia si rafforza quando vengono fornite ai consumatori informazioni di facile comprensione sulle procedure di tutela dei dati. Eppure, solo il 53% degli utenti consumer italiani sostiene di aver ricevuto tali informazioni.

«Ci troviamo a un bivio nell’era delle informazioni in cui sempre più aziende vengono trascinate sotto i riflettori perché non sono riuscite a salvaguardare i dati in loro possesso. Con questa indagine abbiamo cercato di comprendere lo stato d’animo degli utenti consumer che affidano i propri dati a organismi esterni e come tali organismi interpretino il proprio obbligo di tutela dei dati – aggiunge Jarad Carleton – L’indagine ha rivelato che c’è sicuramente un prezzo da pagare – sia da parte dell’utente consumer che da parte di chi gestisce un’azienda che tratta dati di utenti consumer – in materia di mantenimento della confidenzialità dei dati. Il rispetto per la privacy degli utenti consumer deve diventare un pilastro etico per qualsiasi azienda che acquisisca dati dagli utenti».

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