Approfondimenti

La responsabilità dei manager tra normativa, governance ed esperienza

La responsabilità di un consiglio di amministrazione e dei singoli amministratori non può riferirisi alle singole operazioni, soprattutto in contesti complessi. Comporta, invece, la definizione di sistemi organizzativi e di controllo, la verifica della loro adeguatezza e l’organizzazione di tali compiti. Tenendo sempre presente l’obiettivo ultimo di massimizzare il valore dell’azienda e assumendo consapevolmente i rischi connessi.

Pubblicato il 09 Lug 2012

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Manager e responsabilità

I manager si confrontano continuamente con le proprie responsabilità e con i propri doveri. A volte si domandano come la rapidità della gestione aziendale e dei tempi di assunzione delle decisioni siano coniugabili con il sistema di governo societario previsto dal codice civile e dalle prescrizioni di autoregolamentazione di corporate governance.

È possibile definire un modello di gestione delle responsabilità individuali di un Amministratore Delegato, ma anche di un consigliere non esecutivo, che sia rispettoso delle normative, ma nel contempo disegnato per tener conto delle complessità dell’esperienza concreta? Sia la revisione del diritto societario del 2004 sia il codice di autodisciplina, fin dalla sua prima edizione, hanno posto l’accento in modo crescente sui processi e in modo sempre decrescente sulle singole operazioni.

Si riconosce così che la responsabilità di un consiglio di amministrazione e dei singoli amministratori non può, soprattutto al crescere delle dimensioni e della complessità aziendale, identificarsi con il controllo diretto delle singole operazioni. L’enfasi si trasferisce sulla definizione dei sistemi organizzativi e di controllo adeguati da parte degli organi delegati e sull’attenzione posta dal consiglio nel suo complesso sulla verifica dell’adeguatezza di tali sistemi e controlli.

L’economista aziendale si interroga anche sulla modalità migliore, nell’interesse collettivo, dell’organizzazione di tali compiti, tenendo presente sempre l’obbiettivo di massimizzare il valore dell’azienda amministrata.

Il sistema di governo societario italiano

La struttura organizzativa e il processo decisionale del consiglio di amministrazione previsti dal codice civile sono ovviamente i capisaldi di una sana corporate governance. Essi si riassumono, a grandi linee:

• nella centralità del consiglio di amministrazione cui compete collegialmente l’indirizzo della supervisione strategica e di gestione e la supervisione del sistema dei controlli;

• nella possibilità di deleghe prevista dal codice ma con obbligo di relazione periodica, e di implementazione delle delibere del consiglio di amministrazione;

• nella responsabilità degli amministratori delegati di assicurare un adeguato assetto organizzativo e amministrativo, che si accompagna alla responsabilità del consiglio di amministrazione di valutarlo e validarlo con continuità;

• nell’enfasi sulla necessità di circolazione delle informazioni verso il consiglio di amministrazione, per permettere agli amministratori di agire in modo informato.

Infine particolare attenzione deve essere prestata alle operazioni caratterizzate da interessi, una volta si sarebbe detto interessi in conflitto, o alle operazioni con parti correlate.

Il codice di autodisciplina della corporate governance recepisce ovviamente le indicazioni normative ma ne aggiunge altre, soprattutto su due tematiche: l’enfasi sull’orientamento alle responsabilità strategiche e la volontà di definizione di best practice organizzative. In Italia come è noto, le linee della corporate governance per le società quotate si trovano nel codice di autodisciplina della Borsa Italiana, cui si rimanda per approfondimenti.

La funzione obiettivo di un AD: Il punto di vista di un economista aziendale e qualche elemento di esperienza

Dal punto di vista dell’economista aziendale, le responsabilità strategiche di un amministratore sono molto ben definite. Esse si concretano nella massimizzazione del valore dell’impresa gestita, assicurando però contemporaneamente l’integrità degli interessi di tutti gli stakeholders. Si accompagna a ciò la definizione degli obiettivi strategici e degli indirizzi gestionali opportuni per raggiungerli e la valutazione del grado di rischio sopportabile dall’impresa e adeguato alle attività aziendali (che per definizione sono attività imprenditoriali e quindi rischiose).

Ricordiamo che il valore di un’azienda è definito dalla somma dei flussi di cassa futuri attualizzati a un tasso che tiene conto della somma del tasso di interesse per investimenti privi di rischio e di un premio per il rischio specifico della società. Da ciò deriva che il tema della valutazione, della assunzione e della gestione dei rischi, non dell’azzeramento, è basilare per un’efficace gestione. Come direbbero gli anglosassoni: no free lunch (non esistono pasti gratuiti). Di conseguenza solo l’assunzione di rischi porta la possibilità di ottenere rendimenti aggiuntivi rispetto al tasso privo di rischio.

La responsabilità dell’amministratore non si può estendere a un obbligo di successo. La sanzione per l’insuccesso è di mercato e reputazionale. Non può essere legale.

Appare quindi molto opportuno il superamento, nel nuovo codice di diritto societario, del concetto di diligenza del buon padre di famiglia. La diligenza dell’amministratore non ha nulla in verità a che fare con quella, orientata alla prudenza, del buon padre di famiglia, ma al contrario deve essere orientata all’assunzione consapevole di rischi, che sono l’essenza dell’attività imprenditoriale.

Tuttavia le scelte imprenditoriali, che competono agli amministratori di società, non possono e non devono essere avventate e tantomeno colpevoli. Gli amministratori, nella loro attività, devono sempre tenere presente l’esistenza di quello che viene definito duty of care, che si concreta nella consapevolezza che devono essere considerati solo rischi che siano misurabili e soprattutto consapevolmente assunti.

Il duty of care si basa sul pilastro dell’agire informato. Soprattutto al crescere delle dimensioni aziendali e della complessità e del numero di operazioni, diventa tenue il legame fra responsabilità individuale, in particolare per i non delegati, e singole operazioni. Naturalmente fanno eccezione le operazioni di grande rilevanza che anche per modalità organizzative tipiche di tutte le imprese, vengono portate all’attenzione del consiglio di amministrazione.

Non è nemmeno opportuna, nè possibile in molti casi, una sovrapposizione decisionale fra deleganti e delegati. D’altronde, l’estensione delle deleghe non può essere così limitata da condizionare la fluidità operativa.

Gli amministratori peraltro non sono un organo di controllo, ma di indirizzo strategico e di gestione. Ciò implica che essi operano quasi sempre in tempo reale e in prima persona, sia pure collegialmente. Nel concreto ciò si traduce nel fatto che essi sono in generale chiamati a decisioni basate su documentazione e non su conoscenza diretta dei fatti, da assumere spesso in condizioni di urgenza.

Malgrado ciò non si attenua l’obbligo di agire informati e di valutare i rischi delle decisioni assunte e della gestione aziendale nel suo complesso. Nemmeno bisogna dimenticare che gli amministratori sono nominati proprio per determinare e indirizzare i risultati aziendali e che quindi da questa responsabilità non possono fuggire.

Responsabilità: un ponte fra normativa e operatività

La riflessione si sposta quindi sulla possibilità di coniugare la responsabilità legale e quella manageriale. La soluzione a questo apparente dilemma mi pare si possa trovare spostando il focus:

• Dalle operazioni ai processi. Si tratta di concentrarsi sul dovere di avere una capacità di valutazione e di controllo sui processi aziendali, cioè sull’insieme coordinato di operazioni che si esprimono anche nei valori recepiti nel bilancio aziendale.

• Dall’empirismo alle procedure. Si tratta quindi della necessità, anzi dell’obbligo di accertarsi che esistano adeguate procedure capaci di gestire e di controllare i processi aziendali in modo affidabile ed efficiente.

• Dalle informazioni ai sistemi informativi. È assolutamente necessario un sistema informativo organizzato ed efficiente, che sia capace di produrre informazioni rilevanti, per concentrare l’attenzione degli amministratori sul set di informazioni organizzate prodotto dei sistemi informativi.

• Dall’impegno individuale al sistema dei controlli. Un efficiente sistema di controlli deve essere progettato in modo adeguato ed essere dotato di risorse finanziarie e umane sufficienti perché sia sempre in condizione di produrre i risultati desiderati.

A mio avviso, la responsabilità degli amministratori può essere individuata e valutata, anche in situazioni di stress aziendale quando diventa davvero rilevante, innanzitutto dal fatto che abbiano istituito e gestito correttamente una struttura organizzativa e di governance, che presidi efficienza, efficacia e correttezza gestionali, secondo le linee esposte in precedenza.

Nessuna struttura funziona correttamente se non si è istituito anche un sistema informativo adeguato e un sistema di controllo interno efficace. Ne consegue che gli amministratori possono, una volta istituiti con successo, efficienza ed efficacia i sistemi sopra citati, esercitare il loro dovere decisionale sull’output informativo di tali sistemi.

Il sistema dei controlli interni e di gestione e controllo dei rischi

Se un management o un consiglio di amministrazione deve assumere consapevolmente rischi per ottimizzare la profittabilità, esso deve anche dotare l’azienda di un sistema di controlli interni per l’identificazione, la mappatura, la misurazione, il controllo e la gestione dei rischi stessi.

Il sistema dei controlli interni è costituito da regole, procedure e strutture organizzative, che mirano a conseguire efficacia ed efficienza dei processi aziendali, salvaguardia del valore delle attività e protezione dalle perdite potenziali, affidabilità e integrità delle informazioni amministrative e conformità delle operazioni alle norme, ai regolamenti e alle procedure, cioè adeguata compliance. Tale sistema deve essere anche periodicamente rivalutato.

I rischi sono molteplici e possono essere connessi alla realizzazione dei risultati, (ad esempio fattori esterni, finanza, risorse umane, processi informatiinformativi, eccetera), ad attività operative o alla compliance. Tali rischi devono essere misurati in termini di potenziale impatto sui risultati economico patrimoniali.

Occorre che il consiglio di amministrazione elabori anche una strategia per la gestione dei rischi che comunque si verificano. L’esistenza di procedure formalizzate è opportuna perché tende a creare capacità di reazione e di minimizzazione dei rischi stessi.

Si tratta quindi di individuare una strategia e una politica di gestione del rischio, che deve essere approvata dal consiglio di amministrazione e che deve naturalmente rimanere nella responsabilità organizzativa dell’Amministratore Delegato.

Da ultimo non bisogna dimenticare che il presidio principale contro i rischi aziendali e le loro conseguenze negative è la dotazione patrimoniale della società e quindi una valutazione periodica della congruità di tale dotazione patrimoniale è assolutamente opportuna da parte di amministratori consapevoli.

In conclusione sono convinto che il rispetto dei doveri previsti dalla normativa per gli amministratori di società non sia una sovrastruttura rispetto alle responsabilità manageriali, da vivere magari con ansia di commettere errori, ma anzi possa contribuire a guidare verso un maggiore controllo dell’impresa e una diminuzione dei rischi operativi e gestionali.

Chi è Stefano Preda

Stefano Preda è stato fondatore e presidente del comitato guida sulla Corporate governance che nel 1999 ha emanato il codice di autodisciplina delle società quotate, che porta il suo nome. È stato presidente di Borsa Italiana SpA dal 1997 al 2000, vice presidente della Federazione delle Borse Europee dal 1998 al 2000, presidente di Mediolanum SpA dal 1996 al 2001, nonché consigliere di Amministrazione di Sanpaolo-IMI, Fondazione Cariplo e IMI SpA. È stato presidente di Banca Esperia SpA la private bank di Mediobanca, Mediolanum e presidente di Duemme Hedge Sgr SpA dal 2000 al 2009. Nel 2003 è stato nominato Cavaliere del lavoro. Attualmente è Vice Presidente di Credit Suisse Italy.

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