Interviste

Il ruolo delle agenzie di rating nel mercato finanziario

Dietro un giudizio sintetico come una “tripla A”, c’è un’analisi lunga e approfondita effettuata da un pool di esperti analisti secondo precisi criteri. Maria Pierdicchi, Responsabile Standard & Poor’s per il Sud Europa, intervistata da Umberto Bertelè, spiega perché, in uno scenario sempre più complesso, la valutazione del rischio è di cruciale importanza per gli investitori. E che il giudizio è assolutamente indipendente

Pubblicato il 25 Giu 2012

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Il ruolo delle agenzie di rating è molto cresciuto con il grande sviluppo del mercato finanziario mondiale, ma è stato anche oggetto negli ultimi anni di diverse controversie: negli US, allo scoppio della crisi, per non aver saputo prevedere i potenziali rischi dei mutui “subprime”; successivamente, al crescere delle difficoltà dei debiti sovrani di diversi paesi dell’eurozona, per il presunto impatto negativo che la pubblicizzazione dei rating avrebbe avuto sulla dinamica dei valori di mercato dei titoli.

A fronte di tali controversie l’UE e gli US hanno ampliato le regolamentazioni cui le agenzie devono attenersi, a ulteriore garanzia dell’integrità e della trasparenza dei rating. Al momento mi sembra che le controversie si siano notevolmente attenuate e che, al di là dei luoghi comuni, si possa fare un discorso più sereno sul ruolo che le grandi agenzie di rating – e S&P in particolare – svolgono in un mercato finanziario mondiale che si presenta come sempre più complesso e interconnesso.

Mi piacerebbe partire dalle considerazioni più semplici, per far capire ai nostri lettori non solo perché i rating siano necessari per consentire un miglior finanziamento alle imprese, ma anche quali siano le procedure che si seguono nella loro determinazione – sia per scelta autonoma sia per gli obblighi imposti dai regolatori – per garantire i requisiti di qualità, integrità e indipendenza dei giudizi.

In primo luogo, come vede S&P il suo ruolo nel mercato finanziario?

Il ruolo di S&P è di fornire opinioni indipendenti sulla capacità di rimborso dei diversi debitori. La società è nata 150 anni fa per dare informazioni sulle aziende che stavano costruendo le nuove ferrovie negli Stati Uniti, e che per questo avevano bisogno di accedere al mercato bancario e finanziario.

S&P esprime un giudizio sintetico, che si sostanzia in una categoria di rating e una prospettiva del rating nei successivi 15-18 mesi. Tale valutazione sintetica è il frutto di un’analisi qualitativa e quantitativa sia di dati specifici delle società sottoposte a rating, sia di dati settoriali e macroeconomici. Il rating è sempre assegnato da un comitato di analisti con competenze specialistiche e serve a fornire agli investitori un’opinione indipendente sul rischio di credito relativo di un emittente o di un titolo di debito (in inglese creditworthiness) in modo che gli investitori possano gestire i loro investimenti conoscendo il rischio e valutando i relativi rendimenti attesi dei diversi titoli.

Si tratta di una misura sintetica e comparabile perchè universale: è uguale per tutte le categorie di debitori, per qualsiasi Paese e qualsiasi titolo. Il rating viene assegnato solo se è possibile avere sufficienti informazioni che soddisfino i nostri criteri.

Non si tratta, dunque di una certificazione o di una verifica contabile di una società di revisione, tanto meno di una raccomandazione di investimento. Il rating è una valutazione di rischio, tra le tante che vengono utilizzate dagli investitori: ma non è l’unica. Gli investitori guardano anche altri fattori come la liquidità, la domanda, aspettative di breve termine ecc. Per i debiti sovrani oggi si guarda molto allo spread, che riflette anche altre variabili che non dipendono solo dal rating e che in questo momento per l’eurozona esprime in generale rischi più elevati rispetto a quelli stimati dai rating stessi.

Quali tipologie di rating esistono e come vengono determinati?

Il rating si applica, con tipi di emissioni che possono essere diverse e quindi ricevere rating differenti secondo le loro specifiche caratteristiche, a tre grandi categorie di emittenti:

  • istituzioni finanziarie (banche, assicurazioni, etc.);
  • imprese industriali e di servizi [non finanziari];
  • enti pubblici (regioni, province, comuni, etc.) e stati, e alle operazioni di cartolarizzazione: con riferimento alle specifiche operazioni e al rischio del pool di attività che vengono cartolarizzate.

Il rating, che come detto è una opinione basata su dati fondamentali e a medio termine (15-18 mesi), incorpora anche le nostre previsioni. Esistono dei criteri analitici precisi per la determinazione del rating, che vengono definiti da team indipendenti di analisti (l’”accademia”) e resi pubblici. I criteri rappresentano le metodologie analitiche di una agenzia di rating e ogni agenzia ha i suoi. Essi garantiscono omogeneità, perché permettono di applicare le stesse metodologie e categorie in tutto il mondo e per tutte le tipologie di emittenti e di emissioni, e la loro corretta applicazione è oggetto di verifica da parte di organi di controllo ad hoc.

I criteri possono evolvere nel tempo, in funzione dei cambiamenti nel contesto e/o delle esperienze maturate: sono cambiati ad esempio negli anni recenti quelli utilizzati per le banche, alla luce della crisi del 2008. Il giudizio sintetico emesso attraverso il rating, ad esempio l’assegnazione della tripla A, è il punto di arrivo di un’analisi molto lunga e approfondita. La scala di rating va come noto da AAA a D, che significa default. I titoli con giudizio compreso fra AAA e BBB – entrano nella categoria denominata “investment grade”: è una categoria che si è creata nel tempo con la pratica di mercato, sulla base della constatazione statistica che il rischio di credito dei titoli in questa categoria tende ad essere basso (ancorchè variabile per ciascuna categoria di rating) e relativamente stabile. Mentre, spostandosi più in basso lungo la scala (allontanandosi cioè dall’”investment grade”), l’evidenza statistica è quella di una sempre maggiore propensione del rating a peggiorare nel tempo e – conseguentemente – di una crescente probabilità di default oltre che di maggior variabilità. La prospettiva di stabilità è ovviamente un elemento di grande rilevanza nel momento di acquisizione di un titolo di debito da parte di un investitore.

In che modo garantite l’indipendenza dei giudizi?

L’indipendenza del rating è fondamentale. Serve una visione oggettiva, anche perché questo è l’elemento che gli investitori cercano di più. Per evitare conflitti di interesse, il rating non viene mai valutato da un singolo analista, bensì da un comitato di analisti senior specializzati nello specifico settore, con un training molto lungo e approfondito alle spalle, che discutono le analisi e votano a maggioranza. Nessun giudizio può quindi emergere prima della decisione del comitato.

Un altro punto a garanzia dell’indipendenza è il fatto che viene fortemente distinta l’attività analitica da quella commerciale, per cui nessun general manager o commerciale può in alcun modo entrare nell’attività analitica e viceversa. In Europa siamo soggetti come organismo di controllo all’Esma, che interviene sul modus operandi: non sul meccanismo analitico, ma sulla macchina organizzativa e di governance. Abbiamo anche una quality function, che garantisce che i criteri siano adeguatamente applicati e le policy rispettate. Nemmeno i general manager possono sapere in anticipo un rating e non possono discutere di un rating con un analista senza la presenza di un quality manager.

Perché ritenete che in questi ultimi anni l’importanza del rating sia aumentata?

Con lo sviluppo dei mercati finanziari sono cresciuti l’utilizzo e la necessità del rating. Negli US l’80% dei fabbisogni finanziari sono soddisfatti sul mercato dei capitali e tutti gli investitori considerano il rating un elemento informativo imprescindibile. Tutte le assicurazioni, per fare un esempio, investono nel debito sovrano ed è chiaro che il rating aiuta a monitorare, assieme ad altri elementi, l’andamento del rischio di credito.

Nello stesso tempo il rating è entrato anche nelle regolamentazioni. I regolatori hanno scelto di utilizzare il rating come uno degli elementi obbligatori per determinate normative: è stato così ad esempio con Basilea 2. Sono gli emittenti che pagano per la determinazione del rating, mentre gli investitori pagano per i dati. In alcuni casi, come ad esempio per alcuni stati sovrani, invece, il rating non è sollecitato: non è emesso su richiesta degli Stati stessi, ma viene da noi fornito perché richiesto dagli investitori e perché necessario ad esempio per una corretta valutazione (come imposto dai criteri) del rating delle banche, che in generale non possono avere rating più elevati degli Stati in cui hanno la loro base e la loro attività prevalente. E lo stesso vale per la finanza strutturata.

Ogni categoria di emittenti/emissioni ha i suoi criteri e il rating finale – votato dal comitato e reso pubblico – nasce dall’analisi combinata del rischio economico (settore di appartenenza, capacità competitiva etc.) e del rischio finanziario (cash flow, etc.). Per il rischio sovrano, che valuta la capacità e la volontà di rimborso da parte dello stato, vengono analizzate 5 categorie:

  • struttura economica e diversificazione
  • posizione verso l’estero (import-export);
  • posizione debitoria/fiscale (rapporto debito/PIL, rapporto deficit/PIL, tasso di crescita dell’economia e possibilità di ripagare il debito, etc.);
  • politica monetaria, e sua flessibilità (fattore differenziante ad esempio in questo momento fra paesi dell’eurozona e paesi con propria valuta come il Regno Unito)
  • rischio politico (inteso soprattutto come capacità di portare avanti le politiche che si sono deliberate)

Con quale cadenza temporale viene emesso il rating?

Il rating viene rivisto almeno una volta all’anno, ma il monitoraggio è costante e al modificarsi delle prospettive economiche e finaziarie gli analisti possono rivederlo. Spesso la possibile variazione del rating è preannunciata: si parla di credit watch positivo o negativo, da risolvere entro tre mesi.

Vi accusano di destabilizzare i mercati ogni volta che viene emesso un rating al ribasso. Cosa rispondete?

Che siamo molto più stabilizzanti che destabilizzanti. Nel ciclo positivo del credito erano gli investitori che valutavano i rischi di quasi tutti gli stati europei in egual misura, mentre il nostro rating era assai differenziato. Uno studio del Fondo monetario ha dimostrato che in media i rating sono stati degli ottimi predittori delle insolvenze sovrane. Noi dobbiamo essere rigorosi e riflettere nei nostri rating le nostre valutazioni via via che esse incorporano nuovi elementi.

Credo che i recenti cambiamenti di rating degli stati sovrani dimostrino proprio che non siamo in conflitto di interesse: altrimenti non saremmo stati così esposti a critiche negli US [n.d.r. S&P nell’estate 2011 ha tolto agli US la tripla A, a fronte della crescita del rapporto debito/PIL e dell’incapacità a livello politico di trovare una soluzione volta a ridurre il rapporto deficit/PIL] e in Europa.

Mi piacerebbe un’opinione sulla nuova agenzia di rating cinese.

Noi siamo a favore della concorrenza. E d’altra parte, accanto alle tre agenzie maggiori [n.d.r. Moody’s e Fitch, accanto a S&P], ci sono anche agenzie più piccole che agiscono su base locale.

Per quanto concerne l’agenzia cinese, non conosco né il loro “coverage” né il loro “track record” [n.d.r. l’attendibilità dei rating valutata sulla base della numerosità e degli anni di dati statistici disponibili] e quindi non posso esprimermi sulla loro credibilità.

È immaginabile che si arrivi alla costituzione di una agenzia di rating promossa dall’UE, come si prospettava da più parti qualche mese fa sulla base di un vostro presunto conflitto di interesse?

Il rischio di conflitto di interesse esiste sempre, ma ci sono i modi per controllarlo. Un’agenzia promossa dall’UE non sarebbe certo scevra dai conflitti, a causa delle forti pressioni politiche quando valuta gli stati sovrani. E un rating pagato solo dagli investitori sarebbe soggetto a un rischio molto più forte rispetto a quello del singolo emittente. Il tema centrale è quello di una governance, nella determinazione dei rating, che riduca al minimo i rischi di conflitto. Diversi cambiamenti o proposte di cambiamenti nella regolamentazione comunitaria hanno le loro controindicazioni.

L’obbligo di aspettare 12 ore nella comunicazione di un cambio di rating, non esistente negli US ove la comunicazione è immediata, può portare a fughe di notizie. E la proposta di rendere obbligatoria la rotazione delle agenzie ogni tre anni potrebbe portare, date le differenze nei criteri, a “salti” anomali nei rating. La soluzione migliore è che il rating venga tolto dalle regolamentazioni, che non sia cioè obbligatorio. Negli US sta già succedendo, mentre in Europa ci sono ancora obblighi imposti dai regolatori.

******Chi è Maria Pierdicchi******

Maria Pierdicchi è Managing Director di Standard & Poor’s CMSI Italy e Responsabile S&P per il Sud Europa. Ha lanciato e gestito il Nuovo Mercato in Borsa Italiana e precedentemente ha ricoperto il ruolo di Direttore Centrale responsabile del Controllo Direzionale e Strategie di Premafin e di Senior Financial Analyst in Citibank. Ha svolto attività di docenza e ricerca in materia finanziaria e bancaria presso l’Università Bocconi e la SDA, la New York University e la World Bank.

Laureata in Economia Politica a pieni voti presso l’Università Bocconi ed un MBA con specializzazione in Finanza presso la New York University Stern School of Business Admnistration, ha ottenuto nel 2001 il premio Bellisario per la Finanza, il premio per la Carriera dal Ministero delle Pari Opportunità e molteplici riconoscimenti presso le aziende in cui ha lavorato. Dal 2007 è Vice-Presidente e membro del Consiglio di Amministrazione di American Chamber of Commerce in Italia, partecipa attivamente ad iniziative ed è membro fondatore del Comitato Direttivo dell’Associazione Valore D e partecipa a numerosi Advisory Board di istituzioni accademiche e non profit.

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