La moderna evoluzione delle catene del valore ha frequentemente portato le aziende a deverticalizzare la supply chain, delegando parti crescenti del proprio processo primario a fornitori di primo, secondo e terzo livello, capaci di realizzare in tali attività considerevoli economie di scala o di scopo.
La globalizzazione, cioè la progressiva apertura delle imprese anche medio-piccole ai mercati internazionali, ha inoltre spinto la diffusione di politiche di global sourcing proprio per reperire a livello planetario quei fornitori capaci di assicurare tali economie. Oggi quindi non è infrequente trovare aziende (non necessariamente commerciali) dove il 60, 70 o addirittura 80% del fatturato è costituito da materiali acquistati, e che localizzano i fornitori di tali materiali anche in aree molto remote del pianeta.
Lean management: sempre meno scorte, flussi sempre più veloci
Il crescente affermarsi delle pratiche lean, che si sono diffuse dagli anni ’80 dal settore automotive giapponese a molti altri settori industriali e sistemi economici, ha inoltre spinto progressivamente a ridurre le scorte di materiali lungo la supply chain, e ad accelerare i flussi dalla produzione delle materie prime sino ai prodotti finiti. Come se non bastasse, spesso l’applicazione di questi modelli spinge ad attuare politiche di single sourcing in cui si stabiliscono delle condizioni di collaborazione di lunga durata con un singolo fornitore per ciascuna merceologia di materiali approvvigionati.
Tutto questo ha portato a una grande efficienza dei processi primari, riducendo sia il costo del lavoro, sia il costo dei materiali, sia infine il costo del capitale circolante che grava sulle diverse filiere logistico-produttive. Tale progressivo efficientamento però non è andato di pari passo con il livello di visibilità sulla supply chain e il controllo esercitato su di essa. Anzi, delegare una così grande parte della produzione del proprio valore a fornitori anche remoti, spesso non replicati, e spesso con un livello molto limitato di scorte per disaccoppiare la relazione, ha reso le catene del valore molto più vulnerabili alle occasionali interruzioni di fornitura. La valutazione del rischio di fornitura quindi è salita decisamente nelle priorità dei supply chain manager e degli uffici Acquisti.
Una funzione Acquisti sintonizzata sugli obiettivi strategici
Il fallimento delle imprese fornitrici, la forte variabilità delle condizioni geo-politiche, la crescente sensibilità verso temi etici e ambientali o le emergenze connesse ai disastri naturali e climatici sono tutte potenziali cause di discontinuità o interruzione della catena di fornitura, capaci di determinare danni aziendali dalla portata facilmente intuibile.
Ne deriva che un’azienda moderna, che opera su scenari globali caratterizzati dall’evoluzione tecnologica e digitale dell’industria 4.0 e nell’attuale contesto super-competitivo, deve possedere una funzione Acquisti che non rappresenti più una mera funzione amministrativa, ma che operi coerentemente con gli obiettivi strategici e non solo economico-finanziari dell’azienda stessa.
Nell’ecosistema in cui i fornitori diventano partner strutturali dei principali processi aziendali, dallo sviluppo prodotto fino ai servizi di assistenza al cliente, la gestione del sistema di fornitura nell’ottica della riduzione del rischio cambia completamente il punto di vista dello specialista funzionale. Il quale ottimizza costo, qualità e tempo sul suo specifico perimetro di attività (componente, commodity, divisione ecc.) ed è spinto ad ampliare la prospettiva. Al raggiungimento degli obiettivi aziendali di breve (budget) e medio (piano) periodo, che pure sono fondamentali, si affianca la questione essenziale della sostenibilità del modello di business di fronte ai cambiamenti che si verificano incessantemente in modi e con tempistiche non predicibili.
Questo è pertanto il primo degli articoli di un ciclo che si propone di analizzare il tema del rischio di fornitura, descrivendo empiricamente quanto rilevato da una recente ricerca svolta dal Laboratorio RISE dell’Università di Brescia insieme alla spinoff accademica IQ Consulting presso numerose aziende manifatturiere italiane.
Un’indagine per studiare l’approccio al rischio di fornitura in Italia
All’indagine hanno partecipato circa 70 direttori Acquisti e Supply Chain del comparto manifatturiero nazionale, appartenenti ad aziende di dimensioni diverse (figura 1). Ai fini della caratterizzazione del campione, le imprese sono state classificate nelle seguenti 5 fasce dimensionali:
- Micro, quando il loro fatturato annuo non supera i 10 milioni di euro
- Piccole, quando il fatturato è compreso nella fascia 10-50 milioni
- Media, quando il fatturato è compreso nella fascia 50-200 milioni
- Grande, quando il fatturato è compreso tra 200 e 500 milioni
- Macro, se le dimensioni sono superiori ai 500 milioni
La ripartizione dimensionale del parco fornitori è molto variegata, a riprova della rappresentatività del campione: coerentemente con l’universo delle imprese in Italia, la classe più rappresentata è quella delle medie (35%) e piccole imprese (28%). Il 15% del campione è composto da grandi imprese, e il 13% da macro imprese oltre 500 milioni di fatturato. Anche la classe delle micro imprese (meno di 10 milioni) è rappresentata, con il 9% del campione.
Al crescere delle dimensioni dell’azienda cresce più che linearmente la numerosità dei fornitori, dei quali quindi, è più difficile monitorare lo stato di salute (figura 2). La dimensione dell’azienda ha un forte impatto anche sulla dislocazione geografica dei fornitori: coerentemente con le attese, mentre le aziende piccole e micro cercano prevalentemente i propri fornitori in Italia, le aziende grandi e macro sfruttano molto di più le opportunità della globalizzazione, per cui un terzo abbondante del loro parco fornitori si colloca all’estero (figura 3).
Il prossimo articolo
Nell’articolo successivo vengono approfonditi i risultati della ricerca, andando a focalizzarsi in particolare sul numero di aziende che oggi utilizzano un sistema di gestione del rischio di fornitura e quali siano le caratteristiche tipiche di questo approccio: ad esempio, quanti fornitori e quali fonti di rischio vengono presi in considerazione; quanti siano i costi del sistema e quale il suo livello di formalizzazione.