Tre anni fa, più o meno a quest’epoca, il sistema bancario-finanziario era entrato in una crisi profonda perché pieno di titoli tossici legati ai mutui subprime: fecero seguito il credit crunch e la (almeno in parte) conseguente crisi dell’economia reale. A tre anni di distanza i titoli tossici sembrano essere tornati, ma sono quelli dei debiti sovrani dei Paesi sotto attacco (tra cui purtroppo anche l’Italia).
Le banche, più o meno piene di questi titoli (tra di esse anche molte delle principali francesi e tedesche e di riflesso alcune grandi statunitensi), vedono assottigliarsi il capitale nel momento in cui dovrebbero aumentarlo in vista di Basilea 3 e – avendo scarsa fiducia le une delle altre come al tempo di Lehman – non alimentano a sufficienza il mercato interbancario, creando problemi di liquidità. Esse godono peraltro sempre meno della fiducia degli investitori, per cui fanno fatica a rifinanziare i debiti in scadenza (che nel 2012 assommeranno in Europa a 800 miliardi di euro). Le difficoltà delle banche da un lato si ritorcono sui debiti sovrani, dei cui titoli esse diventano venditrici nette, e dall’altro fanno riapparire lo spettro del credit crunch: che, sommandosi al calo della domanda provocato dall’aggiustamento dei bilanci pubblici, potrebbe portare a una nuova caduta dell’economia reale.
“Unless politicians act more boldly, the world economy will keep heading towards a black hole”, sottotitolava il suo articolo di fondo a fine settembre The Economist.
Sta effettivamente ai politici interrompere la pericolosissima spirale in atto: superando le difficoltà derivanti dal crescente clima di scontento e contestazione nei paesi occidentali e trovando con urgenza un accordo, su chi debba pagare gli oneri della crisi e su quali regole debbano essere stabilite per evitare nuove ricadute. Sta ai politici, attraverso una ri-regolamentazione, indurre a un comportamento meno dissociato il sistema finanziario. Che chiede agli stati allo stesso tempo di puntare al pareggio di bilancio e alla diminuzione del debito, di crescere e – in caso di crisi delle proprie banche – di evitarne il fallimento con immissioni adeguate. Che preferisce usare le sue grandissime disponibilità sul mercato delle scommesse piuttosto che nel sostegno al sistema delle imprese, rendendo più probabili i fallimenti e approfondendo la crisi dei debiti sovrani e delle banche: con ovvi effetti di boomerang nel medio termine.
Il pericolo, in assenza di questo, è una nuova – potenzialmente rovinosa – caduta dell’economia reale nella maggior parte dei paesi ricchi. Che andrebbe ad accentuare ulteriormente, soprattutto nei comparti rivolti alla domanda interna, l’aumento della disoccupazione rispetto alla situazione ante-crisi. Che andrebbe a minare il successo delle non poche imprese che viceversa – anche nel nostro paese – vanno bene, spesso per la loro capacità di esportare e/o di crescere nei mercati emergenti.