Approfondimenti

Management – Innovare l’organizzazione con lo sguardo verso il futuro

Per affrontare i cambiamenti non lineari che caratterizzano lo scenario internazionale è fondamentale dimenticare il presente e avere progetti ambiziosi e di lungo periodo. La crescita eccezionale dei paesi emergenti richiede lo sviluppo di business plan che tengano in considerazione le profonde differenze nelle esigenze e abitudini dei consumatori, senza cercare di replicare modelli validi in Occidente

Pubblicato il 01 Lug 2010

govindarajan-colore-153935-120906154342

Provate a visualizzare il vostro piano strategico e a pensare
ai progetti che avete per il futuro. È possibile inserire i
progetti all’interno di tre scenari distinti. Il primo
riguarda il presente. Il secondo ha lo scopo di dimenticare il
presente per poter pensare al futuro, che inserisco in un terzo
scenario. La maggior parte delle aziende si concentra sul
presente. Ma, se parliamo di un piano strategico, dobbiamo
pensare al futuro. Quando le organizzazioni pensano alle
innovazioni e ai cambiamenti strategici da apportare, devono
guardare al futuro. Il processo mentale relativo ai piani per
il presente è diverso da quello relativo ai piani per il
futuro. A mio avviso, i progetti per il futuro, che inseriamo
all’interno del secondo e del terzo scenario, possono
essere percepiti come una risposta a cambiamenti non lineari,
mentre i progetti per il presente sono una risposta a
cambiamenti lineari nell’ambiente o
nell’organizzazione. Negli ultimi quindici anni i
cambiamenti avvenuti a livello internazionale sono stati di
tipo non lineare, con la nascita di business innovativi. Nei
prossimi quindici anni il cambiamento che si percepirà
maggiormente riguarderà la distribuzione dei consumatori nei
vari Paesi, che colpirà ed influenzerà ogni settore. I
mercati dell’India e della Cina, secondo le stime dei
principali analisti continueranno a registrare una crescita
eccezionale. Tuttavia, è impensabile elaborare un business
plan in un paese occidentale e volerlo esportare, senza alcuna
modifica, in un paese emergente, in quanto i consumatori sono
diversi e hanno esigenze diverse.


L’ESPERIENZA DI FORD IN INDIA

Un esempio calzante riguarda Ford. Agli inizi degli anni 90 la
casa automobilistica ha deciso di fare il suo ingresso nel
mercato indiano con un modello di auto già utilizzato in
Occidente, trasferendolo nel subcontinente con alcuni
adattamenti. Ha così eliminato i finestrini automatizzati e
altri optional ritenuti non necessari, per poter abbattere i
costi. Così, invece di avere finestrini automatizzati per
tutti e quattro i finestrini, le Ford che sono sbarcate in
India ne avevano solo due. I manager di Ford non avevano però
considerato che quanti in India possono permettersi di
acquistare una macchina da 15.000 dollari appartengono alla
fascia alta della popolazione ed esigono pertanto il massimo
del comfort. Di conseguenza, il progetto di Ford in India agli
inizi degli anni 90 è stato un fallimento, nonostante il
tentativo della casa automobilistica americana di adattarsi al
mercato del subcontinente. Nella migliore delle ipotesi avrebbe
potuto vendere l’auto al 10% della popolazione. Ma se si
vuole raggiungere il 90% del mercato bisogna pensare agli
scenari per il futuro. L’idea intelligente è venuta a
Tata che ha introdotto sul mercato indiano una macchina da due
mila dollari che sono convinto diventerà presto un grande
successo. Questo esempio fa comprendere l’errore che
frequentemente ho rilevato nell’osservare il
comportamento delle multinazionali europee o americane: la
convinzione che i consumatori nei paesi esteri siano uguali a
quelli dei loro paesi di origine. La mentalità e
l’approccio di Ford si sono rivelati sbagliati. Quante
persone in India guidavano una macchina agli inizi degli anni
90? Poche e senz’altro molto ricche. Probabilmente già
possedevano una Rolls Royce e non avrebbero mai comprato una
Ford. Tata invece con lo sviluppo di una macchina venduta a
soli 2.000 dollari si è posta l’obiettivo ambizioso di
convertire il popolo delle due ruote in India in quello delle
quattro ruote. Il motivo per cui ritengo che non vadano
sottovalutati i mercati emergenti è che è molto probabile che
essi cambieranno nel prossimo fututo l’andamento e
l’assetto della vostra azienda. Il consiglio, dunque, è
quello di guardare ai progetti che avete intenzione di
sviluppare nei prossimi mesi e di cercare di capire quanti
riguardano il presente e quanti invece il futuro. Non bisogna
fermarsi solo a pensare alle best practice, ovvero ai migliori
esempi di business del passato, cercando di riprodurli, ma
pensare alle “next practice”, ovvero alle soluzioni
di business innovative.


GRAMEEN BANK, UN’IDEA INNOVATIVA

A questo proposito, l’esempio di Yunus, il noto
professore del Bangladesh, è calzante. Nel 1983 si è
verificata una carestia nel villaggio dove viveva Yunus; per
questo, 166 persone si trovarono ad aver bisogno di 25 dollari
per sopravvivere alla carestia, ma non potevano ottenere il
prestito poiché, trattandosi di clienti considerati poco
affidabili, la banca locale non glielo avrebbe concesso. Così
Yunus decise di dare loro il denaro di cui avevano bisogno.
Salvò le loro vite e ottenne il denaro indietro, applicando al
prestito un tasso di interesse del 10%. In seguito, data la
buona riuscita dell’iniziativa, decise di fondare una
banca, chiamata Grameen Bank, la “banca dei poveri”
che si comporta in modo opposto alle banche tradizionali. Si
tratta di un grande successo: la Grameen Bank è stata
l’unica banca a non aver richiesto un prestito al governo
federale USA durante la crisi finanziaria. Il successo di Yunus
si è così basato su una semplice idea, su una next practice,
ovvero su un’idea innovativa. Il messaggio è molto
semplice, ma questo non vuol dire sia facile da attuare: è
importante agire e investire nel presente per costruire il
futuro. È l’intento strategico che ci poniamo per il
futuro a fare la differenza. Per poter implementare dei buoni
progetti è importante costruire delle nuove competenze chiave
ed è fondamentale che questi progetti siano ambiziosi. Non si
tratta di avere degli obiettivi poco realistici, ma di avere
dei grandi obiettivi. Ciò che ho imparato dai miei studi è
che non bisogna focalizzarsi troppo sul presente, perché
spesso nelle organizzazioni ci sono ciò che amo definire con
l’espressione “cavalli morti”: aree di
business o persone che non stanno crescendo e che non si stanno
innovando, e che nel lungo periodo potrebbero portare
l’azienda al fallimento.



Reverse Innovation, dai mercati emergenti al mercato
globale

La “Reverse Innovation” è, semplicemente,
un’innovazione adottata per la prima volta in uno dei
mercati emergenti. A differenza di quanto è finora accaduto,
le imprese stanno iniziando a sviluppare i nuovi prodotti in
paesi quali Cina e India, distribuendoli solo in un secondo
momento su scala globale. Questo approccio, secondo la teoria
di management formulata da Vijay Govindarajan, si diffonderà
sempre più, poiché esiste un gap molto ampio tra i mercati
emergenti e quelli dei paesi più sviluppati: le consistenti
differenze non permettono infatti di continuare sulla strada di
creare prodotti globali, concepiti secondo le esigenze e le
caratteristiche della domanda dei paesi più sviluppati, da
distribuire poi su scala mondiale. I paesi emergenti chiedono
oggi soluzioni moderne e hi-tech, ma si accontentano di una
qualità accettabile e pongono un forte focus sul prezzo.
Secondo Govindarajan l’approccio fin qui adottato dalle
aziende per operare sul mercato globale – sviluppando prodotti
e innovazione nei propri headquarter in occidente, e quindi
esportandoli – non funziona più. Considerati il
crescente potenziale dei paesi emergenti e una maggiore
maturità, le aziende si sono rese conto della necessità di
creare prodotti differenziati, in un primo momento adattandoli
e successivamente stabilendosi localmente con i propri
stabilimenti. Oggi, però, i tassi di crescita dei mercati
maturi subiscono un progressivo rallentamento, rendendoli
quindi meno allettanti, mentre negli effervescenti mercati
emergenti, come Cina e India, nascono potenziali concorrenti in
grado di fronteggiare le aziende multinazionali con prodotti e
soluzioni ad hoc. La teoria della Reverse Innovation prevede
quindi che, per fronteggiare questo scenario, le grandi
multinazionali inizino a pensare localmente, creando prodotti e
soluzioni specificatamente per i paesi emergenti, da esportare
in un secondo momento nel mercato globale. Condizione
necessaria per l’attuazione di questo modello è un
approccio orientato al mercato locale ed
un’organizzazione decentrata, che conceda ampia autonomia
decisionale alle divisioni locali. Tutte, o comunque la maggior
parte, delle risorse e delle persone interessate devono inoltre
essere basate e gestite localmente. I “Local Growth
Team” devono avere responsabilità nell’allocazione
delle risorse finanziarie necessarie alla loro attività, e
poter decidere autonomamente quali prodotti sviluppare, come e
dove venderli e con quali servizi. I prodotti sviluppati e
testati localmente possono quindi essere modificati per il
mercato globale, e ciò potrebbe richiedere di ideare nuovi
ambiti di applicazione, di dar vita a mercati prima inesistenti
o anche comportare l’erosione del mercato di prodotti a
più alto margine di profitto.


Il successo di General Electric in Cina
La teoria della Reverse Innovation di Govindarajan è stata
sviluppata studiando il caso della General Electric.
L’azienda è, tra le sue attività, leader mondiale nel
mercato delle macchine sanitarie per ecografie e, come tutte le
grandi multinazionali americane, ha adottato fino ai primi anni
2000 un approccio strategico orientato a sviluppare prodotti
nel proprio paese di origine, gli Stati Uniti, per poi
distribuirli globalmente. Le macchine così sviluppate
rappresentano il top di gamma per quanto riguarda la qualità e
l’innovazione tecnologica introdotta, e trovano il loro
naturale ambito di applicazione nelle moderne cliniche dei
paesi occidentali. Il loro prezzo è ovviamente molto alto, a
partire dai 100.000 dollari, insostenibile per i paesi in via
di sviluppo come Cina e India: infatti le vendite del prodotto
negli anni 90 erano del tutto marginali. Nel 2002 venne creata
una specifica business unit per il mercato cinese con forti
poteri decisionali, che decise di investire in ricerca per la
creazione di un nuovo apparecchio per ecografie, molto più
economico e che meglio si adattasse alle esigenze della domanda
cinese, costituita da cliniche poco moderne situate in
territori prevalentemente rurali. La nuova macchina venne
dunque costruita intorno alle specifiche esigenze del mercato
locale: facilità d’uso elevata, ingombro minimo ed un
prezzo molto basso, intorno ai 30.000 dollari. Le vendite
impennarono portando un mercato fino a quel momento marginale a
raggiungere quote rilevanti. Nel 2007 i buoni risultati
raggiunti spinsero l’azienda a proseguire su questa
strada, elaborando un modello ancora più semplificato ed
economico dell’apparecchio, venduto per circa 15.000
dollari. L’innovazione è poi progredita, fino a
consentire di effettuare con un PC con prestazioni elevate,
opportunatamente dotato di software ad hoc, analisi che un
tempo richiedevano un’apparecchiatura dedicata, come
quelle ostetriche e radiologiche. Questo prodotto viene
prevalentemente utilizzato nelle cliniche rurali cinesi, ma
trova oggi applicazione anche nei paesi sviluppati nelle unità
mobili di soccorso degli ospedali. Il mercato di queste
macchine portatili è cresciuto esponenzialmente portando il
fatturato mondiale a crescere dai 4 milioni di dollari nel 2008
a 278 nel 2009. La GE conta oggi in Cina circa una dozzina di
Local Team dedicati a progetti analoghi e, in un periodo di
recessione globale, continua a crescere.

Chi è Vijay Govindarajan
Vijay Govindarajan è uno tra i maggiori esperti mondiali di
strategia e innovazione e uno dei leader di maggior rilievo
della nuova generazione, secondo Wall Street Journal e Business
Week. Professore di International Business e Founding Director
del Center for Global Leadership alla Tuck School of Business
del Dartmouth College, Govindarajan è anche Professor in
Residence e Chief Innovation Consultant per General Electric.
Boeing, Coca-Cola, Colgate, Deere, FedEx, Hewlett-Packard, IBM,
J.P. Morgan Chase, Johnson & Johnson, New York Times,
Procter & Gamble, Sony e Wal-Mart sono solo alcune delle
società che lo hanno come consulente. Ha pubblicato sette
libri, tra i quali il bestseller internazionale Ten Rules for
Strategic Innovators, proclamato da Strategy & Business
“il miglior libro di strategia del 2006” e inserito
nella lista delle dieci letture raccomandate dal Wall Street
Journal. I suoi articoli sono apparsi su Academy of Management
Journal, Academy of Management Review, Strategic Management
Journal, Harvard Business Review, California Management Review
e MIT Sloan Management Review. Govindarajan ha conseguito un
Dottorato e un MBA con lode alla Harvard Business School, dove
è stato inserito nella Dean’s Honor List, la lista degli
studenti più brillanti. Ha ricevuto il Chartered Accountancy
Degree in India, dove è stato anche insignito della medaglia
d’oro per aver ottenuto il primo posto nazionale. Il suo
nome figura anche nelle liste di autorevoli pubblicazioni:
Outstanding Faculty and Top Ten Business School Professor in
Corporate Executive Education di Business Week – che lo indica
come uno dei pensatori di management “superstar”
dell’India -, Top Five Most Respected Executive Coach on
Strategy di Forbes e Top 50 Management Thinker del The London
Times.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 3