Quanti sono i consumatori multicanale italiani? Il 60% della popolazione sopra i 14 anni. Sono esattamente 31,7 milioni gli utenti che per fare shopping accedono alla rete, per la ricerca delle informazioni, la comparazione di prezzi, la lettura di recensioni fino a procedere all’acquisto vero e proprio. Da che dispositivo? Il 70% si connette tutti i giorni o quasi da smartphone (+7 punti percentuali in più rispetto al 2016), mentre decresce di due punti percentuali l’accesso da tablet (18%) e di quattro punti percentuali l’accesso da pc (55%).
L’Osservatorio Multicanalità, promosso da Nielsen, School of Management Politecnico di Milano e Zenith Italy, aggiorna i dati della shopping experience italiana, confermando la profilazione dei 4 cluster evidenziati nel 2016: everywhere shopper, money saver, cherry picker e pragmatici. Cresce il numero di chi utilizza la rete in logica seamless, everywhere ed anytime che porta l’esperienza d’acquisto ad essere sempre più frammentata al punto che gli analisti coniano un nuovo cluster: quello degli Holistic Shopper.
Descrivendo nel dettaglio l’evoluzione delle abitudini e dei consumi, gli esperti interpretano i trend, fornendo ai brand indicazioni utili a impostare le nuove regole di ingaggio e di fidelizzazione, incentrate su nuovi modelli ma anche su un uso evoluto del machine learning. Parlando di Big Data Management, le analisi del marketing generano ormai una quantità tale di informazioni che molte aziende non si limitano più a considerare la semplice variabilità osservabile. Gli strumenti e i modelli esistenti permettono di scandagliare una molteplicità di livelli diversi, connessi ai percorsi d’acquisto, e progettare una comunicazione capace di trasformarsi in azione di business identificando il giusto target, i giusti canali e il giusto momento.
Le due facce della multicanalità: Infoshopper versus eShopper
Presentando il rapporto 2017, i ricercatori hanno acceso i riflettori sui consumatori multicanale che vedono come protagonisti principali da una parte gli InfoShopper (11,1 milioni, il 21% della popolazione sopra i 14 anni e al 35% di chi usa internet) che accedono alla rete per bisogni specifici in fase di pre-acquisto e, dall’altra, gli eShopper (20,6 milioni, il 39% degli italiani e il 65% degli internet user), persone che utilizzano la rete in tutte le fasi del processo di acquisto.
Gli Infoshopper, in dettaglio, vivono nella dimensione digitale per cercare informazioni su prodotti/servizi (64%), confrontare prezzi (66%) e individuare i punti vendita (47%). Non usano, se non in maniera molto limitata, il web per l’acquisto. Perché? L’80% non si fida a comprare prodotti che richiedono un pagamento anticipato o che non hanno potuto vedere/toccare concretamente (78%), o per cui non hanno potuto confrontarsi con il venditore (69%).
Gli eShopper, invece, non solo accedono al web per raccogliere le informazioni su prodotti/servizi (91%), per confrontare i prezzi (93%) e per trovare i negozi (68%), ma comprano online: l’87% acquista sul web e usufruisce della consegna a casa, il 62% va a vedere il prodotto nel punto vendita (showrooming) e quindi lo compra su internet, il 38% sceglie i prodotti online ma poi li ritira in negozio. Successivamente all’acquisto, il 60% si serve di internet come strumento per ricevere supporto dalle aziende o contattarle: il 50% usa le e-mail (stessa percentuale del 2012), il 38% il numero verde gratuito (+7 punti percentuali rispetto al 2016) e il 31% le pagine dell’azienda sui social network (+ 13 p.p.). Inoltre cala significativamente (-17 p.p.) la percentuale di chi non si attiva in alcun modo.
Consumatori multicanale sempre più disinvolti nell’agorà digitale
I risultati della ricerca confermano come nel 2017 rimanga sostanzialmente stabile il numero di utenti che fanno acquisti online, ma sia raddoppiata la percentuale di chi, una volta alla settimana o più spesso, ha effettuato acquisti online negli ultimi 12 mesi (14%, +7 punti percentuali sul 2016).
“Quello che cambia in modo significativo – ha spiegato Christian Centonze, Business Solution Manager di Nielsen – non è solo la frequenza di acquisto ma l’utilizzo di Internet come strumento di relazione/condivisione con i pari e le aziende. Il 54% degli eShopper utilizza il Web per condividere feedback e riscontri ma anche per recensire i prodotti acquistati (+ 2% rispetto al 2016): in dettaglio, 5 consumatori su 10 quando sono soddisfatti tendono a condividere il loro livello di soddisfazione (50%) e altrettano fanno gli utenti insoddisfatti (51%). Per gli infoShopper questa dimensione più relazionale del processo di acquisto rimane ancora poco significativa sul canale digitale: solo il 23% utilizza Internet anche per condividere feedback e riscontri e per recensire i prodotti e solo il 33% condivide la propria soddisfazione/insoddisfazione rispetto al percepito d’acquisto di un prodotto o di un servizio”.
La tv rimane centrale nella dieta mediale dei consumatori
Incrociando le informazioni sull’evoluzione dei comportamenti d’acquisto con il livello di attenzione dei consumatori multicanale alle call to action, innescate dal marketing attraverso le varie campagne mediatiche tradizionali e digitali, gli osservatori hanno offerto molti spunti di riflessione in merito a come riprogettare le azioni a supporto del business.
La Ricerca 2017, infatti, ha introdotto un elemento di novità: l’analisi di come i consumatori fruiscano dei media, ottenuta tramite elaborazioni e stime realizzate da Nielsen a partire dai panel alla base delle misurazioni Auditel ed Audiweb. Anche se con differenze in termini di copertura, rispetto ai media digitali la tv è il media più utilizzato da tutti i gruppi di consumatori: nel mese di maggio 2017 è stata vista ogni giorno (reach media giornaliera) dal 75,9% di chi non usa internet, dal, 73,5% degli InfoShopper e dal 71,8% degli eShopper (ma scende al 67,9% per gli Everywhere Shopper). Questa prevalenza del mezzo televisivo si conferma anche confrontando la reach della Tv Generalista con quella del mezzo digital, come pc, tablet, smartphone, ad eccezione degli Everywhere Shopper (57,2% per la Tv Generalista contro il 59,3% per il mezzo digital).
I dati confermano come la fruizione di nuove piattaforme televisive (come Free to Air e Pay), in aggiunta all’utilizzo sempre più diffuso del digital, abbia determinato una frammentazione della fruizione mediale che, pur non traducendosi in un abbandono del mezzo televisivo stia portando comunque a una dispersione dell’audience tra le diverse tipologie di canali.
Data driven marketing: il ruolo dell’AI nell’advertising
Nell’era dell’attention economy la battaglia non è più conquistare il cliente ma attirarlo attraverso nuove chiavi di personalizzazione. Chiamati in causa il precision marketing e un nuovo ruolo per le agenzie di comunicazione che, grazie a sofisticati strumenti di analisi e a una modellazione strutturale che lavora su particolari criteri di segmentazione e di aggregazione, diventano i partner strategici dei brand.
“Non dimentichiamoci che il 94% degli shopper preferisce ancora fare la spesa in negozio – ha ricordato Luca Cavalli, CEO di Zenith Italy – e che esiste ancora un 40% di italiani che non si connette al Web. Detto questo è indubbio come la sfida delle aziende oggi si articoli su tre dimensioni: i consumatori, l’innovazione e la tecnologia. Se l’attenzione degli shopper è iperframmentata su più punti di contatto che riducono a loro volta i tempi di attenzione, la risposta è la personalizzazione che, statisticamente, riesce ad aumentare di 50 volte il tasso di conversione al punto che, da qui ai prossimi tre anni, il 50% delle aziende ne farà il principale oggetto di investimento. È qui che si gioca il ruolo del partner di un’azienda comunicazione. La pubblicità, infatti, ha raggiunto lo stato di una scienza perché lavora su metodi testati e corretti, ricavati dall’analisi di tutta una serie di meccanismi causa/effetto che oggi permettono di formulare delle leggi che consentono di spiegare (e di capire) non solo i tipi di consumatore ma anche i suoi criteri di scelta. Il marketing recupera così la sua funzione fondamentale attraverso nuovi livelli di comprensione e di azione. Creare dei pattern di influenza, ad esempio, aiuta a microsegmentare i comportamenti. L’importante è che l’iperframmentazione venga poi clusterizzata in macro categorie che normalizzanp le metriche osservate per interpretare i tassi di conversione delle vendite. Stiamo entrando nella nuova era dell’advertising: le previsioni dicono nel 2020 il 40% della pubblicità sarà supportata dall’Intelligenza Artificiale“.
L’evoluzione della brand experience si traduce in un nuovo marketing mix costituito da contenuti, punti vendita e mass media che aiutano le marche a costruire un rapporto sempre più intimo e personale con i clienti. Il connubio rete/punti vendita è fondamentale. Se oggi il 60% dei brand non riesce a prevedere i consumatori e il 50% afferma che l’uso della tecnologia sia ancora un problema, da qui al 2020 gli investimenti in digital transformation del marketing cresceranno del 77%, movimentando qualcosa come 2.614 milioni di euro.
Il marketing esperenziale domina l’impero dei sensi e dei sensori
Per i brand si tratta di cambiare il tradizionale modello gestionale, incentrato sul prodotto, e di abbracciare una nuova serie di variabili che hanno nell’ascolto del cliente il principale punto di partenza.
“Per analizzare e gestire la customer experience iperframmentata e generare un’esperienza senza frizioni – ha concluso Giuliano Noci, Ordinario di Strategia di Marketing, Politecnico di Milano – le marche devono capire in fretta come l’impero dei sensi e dei sensori si stia avviando verso una rapida converegenza. Il marketing esperenziale, capace di coinvolgere tutti i nostri 5 sensi, trova supporto nell’evoluzione della Internet of Things, dominio dei sensori capaci di ascoltare, di dialogare e di registrare. Il vantaggio competitivo, infatti, si genera sempre più a valle della catena del valore. I prodotti rimangono una commodity ed è la piattaforma di comunicazione ad essere l’elemento abilitante capace di generare valore rispetto al customer journey. La risposta all’iperframmentazione è la creazione di una comfort zone, ovvero di un ecosistema capace di creare delle orbite esperenziali che, agendo da moltiplicatori di forze, riescono ad attirare gli shopper verso la marca che in questo contesto diventa elemento qualificante del campo gravitazionale. Quando si parla di consumatori multicanale, è importante ripensare la dimensione della spazialità e della mobilità considerando la relazione con la digitalità. Bisogna fare attenzione e non assolutizzare l’iperframmentazione e lavorare per creare una risonanza emotiva rispetto alla marca”.
Il consiglio? Lavorare su messaggi sempre più personalizzati e negozi caratterizzati dalla massima trasparenza informativa, passando dal concept store alla confort zone perché il concetto di spazio è cambiato e il bundle dell’offerta oggi include la capacità di gestire al meglio l’economia dell’attenzione sfruttando canali fisici e digitali in un’unica soluzione di continuità.